Un appuntamento per la sposa: Lo sposo manca all’appello

Il matrimonio per l’ebrea ortodossa Michal è un affare essenzialmente di fede. Pur privata a tre settimane dalle nozze dello sposo, la paffuta trentenne decide di presentarsi lo stesso all’altare l'ottava notte di Hanukkah, ovvero il giorno predestinato al gran ricevimento da oltre duecento invitati. È certa che Dio in ventidue giorni provvederà a trovarle il compagno perfetto con cui condividere il resto della vita.

Un appuntamento per la sposa sulla carta ha tutti i numeri per divenire il primo esemplare di chick flick mediorientale. Potrebbe persino piacere più di Bridget Jones. Potrebbe, ma quasi subito il film abbassa le difese, lascia cadere ogni velo e mostra la sua vera natura che con la commedia ha davvero poco da spartire. Con l’apparizione del cantante pop Yos (Oz Zehavi) invaghitosi di Michal, la fievole luce - che credevamo già spenta - del romanticismo torna per poco a confonderci. Tuttavia, l’intangibile sentimentalismo profuso in un paio d’interessanti sequenze torna ben presto a languire di nuovo.   

L’opera possiede più che altro una traiettoria da situazione kafkiana, dove l’ombra del grottesco non viene mai meno. La decisione di Michal (la bravissima Noa Koler) è pari a un atto rivoluzionario, che di rado osa mettere in discussione, altrimenti ciò significherebbe credere di non essere una donna all’altezza. Il suo è un atto di fiducia totale in Dio, forse più moderno di quanto oggigiorno ci si potrebbe aspettare perché implica affidarsi al cento per cento a qualcuno o qualcosa, proprio come in una scommessa. E, come tutti i giocatori sanno bene, non esiste scommessa che non implichi una certa dose di rischio.   

Dopo l’esordio con La sposa promessa, la regista americana naturalizzata israeliana Rama Burshtein torna a parlare di nozze all’interno della comunità chassidica: un gruppo religioso basato su una lunga storia di convenzioni e tradizioni. Un appuntamento per la sposa è una pellicola quasi radicale che pone domande, lasciandole però tutte senza risposta. Il rammarico non è nel fatto che gli interrogativi rimangano, elusi, quanto piuttosto nell’incapacità dell’autrice di porli correttamente. Il rischio reale è che l’approccio adottato dalla protagonista venga appiattito a una sorta di cieca ossessione della donna per contrarre matrimonio a qualsiasi costo. Poco importa la reale identità dello sposo, basta che pronunci il fatidico “Sì, lo voglio”. E tutti vissero per sempre felici e contenti.