11 Luglio 2018    11:19

flyanto1

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“L’Incredibile Viaggio del Fachiro” del regista franco-canadese Ken Scott, è una bella favola didascalica che in questi giorni estivi viene programmata nelle sale cinematografiche italiane. Forse, per dare un poco di speranza nel panorama generale socio-politico-economico non così roseo, o perché ritenuta un’opera di minor importanza e, pertanto,  più adatta al periodo estivo dell’anno in cui il cinema attira, ahimè, meno persone all’interno delle sale (almeno, in Italia), questa pellicola, leggera complessivamente, risulta però ugualmente piacevole a vedersi.

In essa, come si evince dal suo titolo stesso, si racconta di un giovane uomo indiano, un fachiro appunto, il quale sin dalla sua più tenera età ed in condizioni economiche estremamente povere si adopera in ogni modo al fine di guadagnare dei soldi e diventare ricco. Grazie alla sua attività di mago ed incantatore di strada egli riesce a guadagnare qualcosa per il suo mantenimento, peraltro con alterne fortune, ed a coronare finalmente il proprio sogno, dopo la prematura morte della  madre,  di volare da Mombai sino a Parigi per raggiungere il proprio padre francese mai conosciuto. Raggiunta la capitale francese, il protagonista incontra e si invaghisce, ricambiato, di una bella ragazza americana che risiede in Francia per lavoro, ma da cui dovrà forzatamente allontanarsi perché una serie di innumerevoli imprevisti ed accadimenti lo condurranno in giro per tutta l’Europa ed addirittura l’Africa. Il destino gli riserberà alla fine una bella sorpresa.

Un’opera cinematografica, ripeto, semplice nel suo messaggio di speranza dell’ineluttabilità del destino e nella sua concezione del bene che, se donato, ritorna sempre indietro in qualche maniera. Concetti senza alcun dubbio già espressi più volte in molteplici favole e pellicole precedenti, ma che è giusto e bene ogni tanto riproporre come  insegnamento morale alle nuove generazioni, ma anche a quelle più vecchie come rammento. Il film, dunque, per la sua struttura e diretta semplicità del suo messaggio richiama molto quelli della produzione di Bollywood dove il protagonista incarna sempre l’eroe positivo della storia che deve affrontare e superare innumerevoli avversità e combattere contro agguerriti nemici sino a trionfare alla fine. In questa pellicola di Scott, però, non sono presenti le scene cantate (se non una brevissima), tipiche, invece, di quelle di produzione indiana dove occupano una parte considerevole,  per non dire fondamentale, con la funzione di ‘commento’ alla vicenda (una sorta di ‘coro’ delle opere opere greche).

Il cast è internazionale con la partecipazione di attori  indiani, quali il protagonista stesso Dhanush, da noi poco conosciuto, ma molto famoso a Bollywood, francesi, americani, italiani e persino somali. Insomma, tutto teso ad un’internazionalità necessaria ad accennare, sia pure superficialmente, anche la tematica quanto mai attuale del problema dell’immigrazione e dell’integrazione tra i popoli.

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