20 Settembre 2018    09:24

flyanto1

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Premiato l’anno scorso all’ultimo Festival del Cinema a Cannes, “Un affare di Famiglia” di  Kore’da Hirokazu esce finalmente nelle sale cinematografiche italiane presentando ancora una volta, come è consuetudine di questo regista giapponese, una storia strettamente familiare.

La famiglia protagonista è composta da un’anziana nonna sulla quale, in pratica, si basa tutto il suo sostentamento economico, da un padre operaio che trascorre parte delle proprie giornate a compiere dei furti al fine di procurarsi il necessario e non, insegnando, nel frattempo, al figlioletto la stessa ‘pratica’, da una madre molto più giovane che lavora in una lavanderia da dove poi viene licenziata, e da una giovane ragazza di circa 18 anni che, nel tempo libero o quando non si reca a scuola, si prostituisce in una sorta di locale a luci rosse. Scoprendo, un giorno, nel quartiere in cui vive il nucleo familiare, una bimba di circa 5 anni sola, infreddolita ed affamata, il padre decide, concordi più o meno tutti i componenti, di annetterla alla famiglia, prendendosene cura e non denunciandone, invece, la scomparsa  alla polizia. Quando viene trasmesso il notiziario in TV con la notizia della suddetta scomparsa, i nuovi ‘genitori adottivi’ decidono di continuare a tenerla con sé, cambiandole il taglio di capelli ed il nome al fine di non renderla più riconoscibile a nessuno. Trascorrono così parecchi mesi e la convivenza tra tutti si dimostra quanto mai armonica ed affettuosa: anche alla bimba, ovviamente, viene insegnata la pratica di rubare nei negozi, ma al di là di ciò l’amore che tutti i componenti provano per lei è talmente sincero e profondo da far sì che ella si leghi sempre più a loro e viceversa, legarla a loro. Quando una giorno improvvisamente muore l’ormai anziana nonna, la situazione cambierà radicalmente…..

Kore’da Hirokazu ritorna ancora una volta ad affrontare, appunto, tematiche concernenti la famiglia e la società in tutti i suoi aspetti. Già con i precedenti “Father & Son”,  “Little Sister” and “After the Storm”  egli pone la famiglia sempre in primo piano: famiglie per lo più allargate e perfettamente rispecchianti la società contemporanea in cui vivono con le sue contraddizioni, debolezze e anche lati positivi. Ma il tema specifico sul valore e sull’importanza attribuita ai genitori naturali od  adottivi viene in “Un Affare di Famiglia” ripreso, sebbene in un contesto del tutto nuovo e singolare, direttamente dal precedente “Father & Son”, con anche un uguale richiamo, per ciò che concerne, invece, la situazione dell’arrivo della bambina in una nuova famiglia, a “Little Sister”. In questa sua ultima opera cinematografica Kore’da si spinge però anche oltre, presentando una storia che all’inizio può apparire come deplorevole moralmente parlando se non, addirittura provocatoria, ma verso la fine della pellicola, l’intera vicenda viene spiegata con maggior chiarezza e, pertanto,  più giustificata, arrivando a sollevare nello spettatore molteplici quesiti sul valore della famiglia, delle leggi, dell’assetto sociale generale e delle sue radicate ipocrisie. Il tutto viene perfettamente ed elegantemente presentato da Kore’da con il suo solito andamento lento, lucido e lineare di girare i films, facendo sì che l’atmosfera intima, dolce e di perfetta e serena armonia affettiva di un ambiente familiare predomini, rendendo i suoi lavori unici ed altamente poetici.

Giustamente premiato a Cannes con la Palma d’Oro, “Un Affare di Famiglia” è da considerarsi  senza alcun dubbio un incontestabile esempio di ottimo cinema all’insegna della grazia e della delicatezza più autentiche.