8 Ottobre 2018    16:47

flyanto1

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“L’Albero dei Frutti Selvatici” è l’ultima opera del regista turco Nuri Bilge Ceylan presente in questi giorni nelle sale cinematografiche italiane dove, attraverso la rappresentazione del rapporto tra un padre ed un figlio, viene ritratta la condizione della Turchia contemporanea.

La storia ruota tutta intorno ad un ragazzo di circa 23/24 anni che, laureatosi in scienze della comunicazione, ritorna a casa in un paesino di una zona rurale da cui egli era ben volentieri si era allontanato. Il ritorno per lui non si presenta, però, del tutto positivo in quanto il giovane, escluse la madre e la sorella, non ha da molto tempo un buon rapporto col padre insegnante che disprezza profondamente poichè dedito troppo al gioco ed alle corse dei cavalli e, pertanto, ritenuto da lui, un irresponsabile nei confronti della famiglia che vive, per questa motivazione, in condizioni economiche alquanto disagiate da lungo tempo. Nel corso della sua permanenza nel villaggio natio, il protagonista, ancora senza un’ occupazione stabile lavorativa, tenta, malvolentieri, di superare l’esame di Stato al fine di diventare anch’egli insegnante, ma l’aspirazione del giovane è in realtà  quella di pubblicare un libro da lui scritto di racconti sui propri luoghi d’infanzia e su personali ricordi che però si dimostra essere un’impresa alquanto difficile e poco probabile. Tra le giornate trascorse a rivedere le vecchie amicizie e quelle trascorse presso la casa degli amati nonni, il giovane si sente giorno per giorno sempre più estraneo e lontano nella mentalità dall’ambiente quanto mai provinciale ed arretrato dei luoghi dell’infanzia come, nel contempo, anche sempre più  distante dal padre. Il tempo lo farà ricredere….

Le opere di Nuri Bilge Ceylan, tempisticamente parlando, non sono mai brevi e così anche quest’ultima, della durata di più di 180 minuti (188 per la precisione), non si discosta dalle precedenti. Ma la caratteristica di questo regista turco non è tanto la lunga durata delle sue pellicole quanto il suo tipico andamento lento con cui, richiamando alquanto il regista iraniano Abbas Kiarostami, egli racconta le storie e dà allo spettatore l’idea della contemporaneità delle azioni come anche, in senso più lato e simbolico, della concezione  di immobilismo che regna nella maggior parte della sua terra, la Turchia, soprattutto nelle zone rurali lontane dalle grandi città. In tutti suoi i suoi films Ceylan ha ben ritratto il proprio paese e qui, ne  “L’Albero dia Frutti Selvatici”, lo ritrae in una maniera sempre più consapevole e matura, evidenziandone tutte le caratteristiche, le arretratezze e le contraddizioni ma dimostrandone anche il proprio amore-odio. Un rapporto ambivalente che lo lega profondamente alla sua terra e che, magnificamente e simbolicamente, Ceylan rappresenta attraverso la parallela descrizione del rapporto di odio-amore esistente tra il giovane protagonista e suo padre. “L’Albero dei Frutti Selvatici” che dà il titolo al film sta ad indicare tutto ciò che di buono e positivo, sebbene strano ed all’apparenza anche poco attraente, può nascere a volte da un albero: come il giovane protagonista che discende, suo malgrado,  dalla stirpe paterna tanto odiata e combattuta, così, forse, anche per la popolazione turca esiste una speranza di miglioramento e di maggiore apertura.

La storia, in conclusione, priva di qualsiasi azione, è una lunghissima riflessione filosofica e simbolica della situazione contemporanea della Turchia che Ceylan presenta, come sempre, in una forma altamente poetica, dolente e quanto mai profonda, nonché tecnicamente perfetta, ed attraverso i dialoghi e  le riprese fotografiche che richiamano direttamente alla pittura. Insomma, con questo gioiello Ceylan si riconferma senza alcun dubbio un regista di grande talento ed un esempio di cinema di qualità.