La via facile per uccidere un personaggio accusando un povero.
Questo è il risultato della Macchinazione. L’utilizzo di ingranaggi, lubrificati dall’infamia di pochi che usano tanti per essere mai responsabili.
La divisione dei pensieri che nasce dalla morte di un uomo, da alcuni giudicato un poeta e da altri un ripugnante frocio. La capacità del regista di raccontare un personaggio discusso che, mentre scrive una delle denunce più importanti d’Italia, si fa tingere i capelli dalla madre e l’abbraccia come con amore.
Sullo schermo appare un Pasolini, magistralmente interpretato da Massimo Ranieri, che dalle espressioni del viso racconta tutta la consapevolezza di vivere in un tunnel senza uscita. La speranza, parola che Pasolini non amava, accompagna sempre il protagonista che, consapevole della sua fine, sfida i poteri che considera già vinti perché capaci di portare il tutto verso la deriva del conformismo, del qualunquismo e dell’ignoranza.
Un giovane, Pino Pelosi, facilmente manipolato da chi gli permette di recitare una parte che sarà la sua condanna. Il copione, da imparare a memoria, contiene la confessione di un delitto da lui mai commesso verso un uomo che l’adorava.
Nella scena finale, tra polvere, sangue e odio, il regista esprime il risultato della macchinazione di un delitto che qualcuno ha voluto. L’epilogo di un assassinio che nessuno ha comandato ma che la violenza di un branco ha commesso.
Il protagonista aiuta lo spettatore a capire, perché “lui sa ma non ha le prove” e, leggendo il copione del suo giovane amico, vede il falso nelle parole che non possono essere recitate da un giovane di borgata.
Gli occhi di un uomo che coraggiosamente affronta il proprio destino ma con terrore si spaventa per il destino del mondo. Lo sforzo di salvare il suo ultimo lavoro come fosse un figlio da tenere in vita per continuare a raccontare le scomode verità.
In conclusione il discorso di Moravia che denuncia l’assassinio di un poeta, persona che sa cercare le parole giuste e dunque capace di far paura.
Recensioni
La macchinazione (2016)
3 Luglio 2016 16:02
erallomnon
4,0 (su 7 voti)
Accedi per votare!Questo è il risultato della Macchinazione. L’utilizzo di ingranaggi, lubrificati dall’infamia di pochi che usano tanti per essere mai responsabili.
La divisione dei pensieri che nasce dalla morte di un uomo, da alcuni giudicato un poeta e da altri un ripugnante frocio. La capacità del regista di raccontare un personaggio discusso che, mentre scrive una delle denunce più importanti d’Italia, si fa tingere i capelli dalla madre e l’abbraccia come con amore.
Sullo schermo appare un Pasolini, magistralmente interpretato da Massimo Ranieri, che dalle espressioni del viso racconta tutta la consapevolezza di vivere in un tunnel senza uscita. La speranza, parola che Pasolini non amava, accompagna sempre il protagonista che, consapevole della sua fine, sfida i poteri che considera già vinti perché capaci di portare il tutto verso la deriva del conformismo, del qualunquismo e dell’ignoranza.
Un giovane, Pino Pelosi, facilmente manipolato da chi gli permette di recitare una parte che sarà la sua condanna. Il copione, da imparare a memoria, contiene la confessione di un delitto da lui mai commesso verso un uomo che l’adorava.
Nella scena finale, tra polvere, sangue e odio, il regista esprime il risultato della macchinazione di un delitto che qualcuno ha voluto. L’epilogo di un assassinio che nessuno ha comandato ma che la violenza di un branco ha commesso.
Il protagonista aiuta lo spettatore a capire, perché “lui sa ma non ha le prove” e, leggendo il copione del suo giovane amico, vede il falso nelle parole che non possono essere recitate da un giovane di borgata.
Gli occhi di un uomo che coraggiosamente affronta il proprio destino ma con terrore si spaventa per il destino del mondo. Lo sforzo di salvare il suo ultimo lavoro come fosse un figlio da tenere in vita per continuare a raccontare le scomode verità.
In conclusione il discorso di Moravia che denuncia l’assassinio di un poeta, persona che sa cercare le parole giuste e dunque capace di far paura.