13 Marzo 2017    16:19

alberto

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Come ci siamo ridotti? Wolverine, il quarto supereroe più iconico, il mutante più famoso dell'universo Marvel, la bestia rigenerante e con gli artigli, qui è un autista alcolizzato che non si vuole neanche far riconoscere, zoppica, deve sanguinare per estrarre gli artigli e deve badare a qualcuno ridotto peggio di lui, il novantenne Professor X, prima saggio e modesto preside della scuola per ragazzi diversi, col cervello più potente del mondo, ora affetto da alzheimer e imbottito di farmaci senza i quali mette a rischio addirittura chi gli sta intorno. Purtroppo il tempo passa per tutti, il panta rei è inevitabile, a tal punto che tutti gli altri x-men sono deceduti. E a questo punto il protagonista si fa un pò di domande e di conseguenza si rende conto che nonostante abbia vissuto quasi due secoli ha raccolto solo morti, ha subito perdite e sofferenze tra le più disparate guerre e, come gli ricorda il professore, non è mai riuscito a cogliere il diem, l'attimo, oppure a formare una famiglia e cercare di dare un senso alla propria esistenza. E presa da questa prospettiva, la pellicola è triste, amara, e si può interpretare anche come una riflessione sullo scorrere del tempo e sulla sua solita relatività, insegnando che per realizzarsi non bisogna aspettare anche se si è immortali o rigeneranti come Logan; ma anche a non perdere certe occasioni: infatti la monotonia delle sue giornate viene rotta da una bambina ricercata perché ha un potere e l'intenzione di salvarla e portarla un un luogo chiamato Eden, dove si dice che ci siano altri pargoli dotati, attraverso un viaggio in macchina, potrebbe diventare il suo riscatto. A prima vista comunque quello che colpisce è la rabbia che permea il film e la conseguente violenza estrema necessaria e propria del personaggio, qui finalmente talmente esplicita da meritare il divieto ai 14 (insieme al linguaggio scurrile necessario solo in certi punti a mio parere per evidenziare l'ira e un mezzo e inutile nudo femminile). Le scene d'azione sono in grado di comunicare i sentimenti dei personaggi e danno allo spettatore molta adreanalina e anche qualche brivido. Le performance di Hugh Jackman nei panni di Logan e di Patrick Stewart in quelli del professore sono fenomenali ed alquanto evocative e forse la qualità attoriale è il punto più alto del film, ed un consitente contributo è conferito anche dall'esordiente Dafne Keen (la bambina), che riesce a far emergere realisticamente il suo lato selvaggio. La soundtrack di Marco Beltrami è molto suggestiva e accompagna armoniosamente sia il ritmo delle scene movimentate sia le location che trasmettono desolazione e un senso di vuoto paragonabile a quello del protagonista (quasi degno della liricità di Petrarca). Il regista e curatore del soggetto James Mangold, rispetto al capitolo precedente della trilogia di Wolverine, "L'immortale" (preceduto da "X-men le origini"), compie un grande passo in avanti e riesce a costruire egregiamente e con perfezione tenica questa storia, ispirata dall'opera fumettistica "Vecchio Logan" scritta da Mark Millar e disegnata da Steve McNiven, in cui la coppia in viaggio era formata da Wolverine e un anziano e cieco Occhio di Falco. Per capire il prestigio di questo film basti pensare che è stato presentato al Festival di Berlino, guadagnandosi il merito di essere il primo cinecomic proiettato ad un festival, ma soprattutto quello di aver rinnovato in meglio questo genere tanto discusso. Sa intrattenere, provoca tante emozioni ed è anche impegnato. Però non perdete tempo sui titoli di coda: non ci sono scene inedite.