Zona d'ombra

Ogni maledetta domenica si vince o si perde, resta da vedere se si vince o si perde da uomini
Tony D'Amato - Al Pacino in Ogni maledetta domenica di Oliver Stone.

Questo filmico lato oscuro del gioiello-tributo di Stone del 1999 si basa su un articolo del 2009 intitolato Game Brain ed è una produzione di altissimo livello. Sarebbe ovvio esaltare unicamente la prova d’attore di Will Smith su cui la narrazione poggia per un buon 80%.  In realtà, siamo di fronte (thank God!) ad una sceneggiatura di ferro, degna del miglior David Fincher e bisogna ringraziare lo sconosciuto (in Italia) Peter Landesman (qui in doppia veste di autore e regista) per questo, quantomeno vedendo-rivedendo il suo La regola del gioco (2014). 

Pittore, romanziere e giornalista investigativo per New York Time Magazine, Atlantic Monthly e New Yorker, Landesman ha coperto come reporter i conflitti in Rwanda, Kosovo ed Afghanistan/Pakistan dopo l’11 settembre, specializzandosi in seguito sull’anatomia dei traffici internazionali di prostituzione, armi, opere d’arte rubate e copiate, droga ed immigrati. Con tale impressionante esperienza di prima mano, non stupisce neppure per un’istante che sia stato in grado di ritrarre con adamantina precisione il patologo più umano del mondo, questo medico africano che parla affettuosamente con i defunti mentre li seziona per scoprire le origini della loro morte. 

La coppia Landesman-Smith ci regala un ritratto impeccabile delle vicende (autentiche) che condussero il Dottor Bennet Omalu a mettersi contro una delle più potenti corporation d’America, quella capace di comprarsi un giorno della settimana, la domenica, “che una volta apparteneva alla Chiesa”. 

Molta strada è stata fatta dall’articolo che Jeanne Marie Laskas scrisse per GQ sette anni fa e la CTE (encefalopatia cronica traumatica), malattia degenerativa che colpisce il cervello dopo ripetuti colpi subiti al cranio durante le partite di football, è oggi riconosciuta ufficialmente ma Omalu ha dovuto rischiare di perdere la propria vita e la propria famiglia per ottenere tale immenso risultato visto che il denaro, in Occidente ed in USA in particolare vince (quasi sempre) su tutto. 
Non a caso, scriviamo dell’unica nazione al mondo che cataloga gli individui in base a quanti milioni di dollari sono depositati nel proprio conto in banca! 

Due ore e tre minuti asciutti, impeccabili, senza sbafature di sorta, grazie anche ad un’algida, perfetta apertura alla True Detective che lascia sgomento lo spettatore. 
Grandissima la prova alla Monster del veterano David Bowditch Morse che ci regala un "Iron Mike" Webster (“ancora” della linea offensiva dei Pittsburgh Steelers dal 1974 al 1990 e leader indiscusso che li portò a vincere ben quattro Super Bowl tra il 1974 ed il 1979, per poi spegnersi di arresto cardiaco a soli cinquant’anni attraverso una discesa agli inferi fatta di demenza, amnesia e depressione) da antologia. Ottima prova dello straordinario Will Smith, candidato al Golden Globe 2016 come Miglior Attore Protagonista e battuto immeritatamente dal vincitore annunciato Di Caprio. 

Come ci ricorda acutamente Manuel Tracia: “Gente come Barack Obama ha ammesso pubblicamente che non farebbe giocare i propri figli a football e LeBron James è arrivato effettivamente a vietarlo ai propri in quanto troppo piccoli per comprenderne i rischi legati alla sua pratica; LeBron è cresciuto a pane e football, si sospetta che lo stop sia un’idea della moglie senza margine di trattativa. Ed è probabilmente una consapevolezza che si fa strada tra i genitori americani nonostante siano ancora milioni i ragazzi impegnati a praticare football a livello liceale. Un recente sondaggio ha rivelato che il 50% degli americani non farebbe giocar il proprio figlio, e la percentuale sale fino al 63% per le classi più agiate (sopra i 100 mila dollari di guadagno annui). Lo scenario più augurabile è quello che riguarda la totale trasparenza dei rischi da parte di genitori e futuri praticanti. Visto e considerato che pare che iniziare a giocare a football prima dei 12 anni aumenti in modo considerevole l’incidenza di malattie cerebrali.”. 

Il dibattito è, quindi, come era prevedibile, ancora completamente aperto e questo film ne rappresenta un’importante pietra miliare.