Wyrmwood

Prima ancora del titolo di apertura, si comincia con un manipolo di inferociti zombi cui non manca di essere fatto saltare il cranio... e soltanto dopo facciamo conoscenza con alcuni personaggi, tra i quali il padre di famiglia Barry alias Jay Gallagher, che, perduto tutto, si trova a lottare per la sopravvivenza insieme ad un altro paio di sopravvissuti in un mondo proto-Mad Max dagli abitanti mutati in aggressivi infetti, a quanto pare, a causa di una pioggia di meteoriti.

Del resto, mentre seguiamo in parallelo le imprese del protagonista e quelle di sua sorella Brooke, incarnata da Bianca Bradey e finita nelle mani di uno psicopatico dottore che la sottopone a folli esperimenti insieme ai morti viventi, è proprio la saga futuristica interpretata da Mel Gibson a rientrare tra le dichiarate fonti d’ispirazione – come pure Undead di Michael e Peter Spierig – dell’esordiente australiano Kiah Roache-Turner e del fratello co-sceneggiatore Tristan.

Ma, tra arpioni pneumatici e vanghe utilizzate per staccare teste, è facilmente avvertibile anche l’influenza del Sam Raimi della serie Evil dead/La casa e del Peter Jackson di Bad taste – Fuori di testa e Splatters – Gli schizzacervelli nel corso dei circa novantotto serrati minuti di visione che, come vuole il filone portato ai massimi livelli da George A. Romero, si concentrano quasi esclusivamente sulla sequela di scontri con le salme ambulanti affamate di carne umana.

Salme ambulanti che si scopre sprigionare dalla bocca un gas utile quale carburante per i corazzati automezzi e il cui sangue, invece, si rivela infiammabile, a differenza delle altre fonti combustibili che sembrano aver perso il proprio potere a causa dell’epidemia.

Tutte idee piuttosto originali che non possono fare a meno di rappresentare gli ingredienti in grado di offrire un tocco in più all’esile script e di far distaccare l’operazione indipendente in questione dalle migliaia che affollano il panorama degli zombie movie a basso costo, unicamente incentrati su spargimenti di frattaglie e interminabili assedi.

Gli stessi ingredienti che, insieme all’immancabile ironia e alla capacità di non scadere nel ridicolo neppure quando fanno capolino parentesi maggiormente volte al dramma, hanno probabilmente contribuito a fargli aggiudicare il premio Asteroide per il miglior lungometraggio di fantascienza presso l’edizione 2015 del festival Trieste Science+Fiction.