Wonder Park – Un giro di giostra tra gli alti e bassi delle nostre emozioni e dei loro riflessi immaginari
June è una bambina dalla creatività fervida e con la spiccata capacità di dare vita a mondi magici. Dalla sua immaginazione e con l’aiuto creativo-costruttivo di sua madre, June è infatti riuscita a tratteggiare un Wonder Park delle meraviglie (Meravigliandia), un luogo magico di ottovolanti e attrazioni simili, dove ogni animale ha il suo spazio di divertimento. Una mappa di gioco che dalle mura della stanzetta si è trasformata in un mondo pieno, di giochi e colori, dove giustapponendo la fantasia e operando il sogno ogni animale gioca e vive di riflesso i propri tratti salienti: il grande orso blu è atterrito dalle altezze, il porcospino rotola sui suoi aculei cercando di conquistare la cinghialessa, mentre i gemelli castori (doppiati nella versione italiana da Gigi e Ross di Made in Sud) sono perennemente impegnati in schermaglie comiche da far invidia a un qualsiasi duo di cabarettisti.
Eppure, come sempre nella vita l’imprevisto è dietro e l’angolo, e quando la mamma di June dovrà suo malgrado allontanarsi da casa per curare un improvviso e brutto male sopraggiunto, la bambina sarà sopraffatta dall’ombra del dolore e dalla paura, dall’angoscia incontrollata di perdere per sempre l’amato genitore. Sarà così che anche Wonder Park (ovvero Meravigliandia), proiezione viva e attiva della fantasia della bambina e riflesso delle sue emozioni, verrà messa sottosopra e fuori funzione da una Grand’Ombra che muterà lo “splendidoso” parco in una squallida e non funzionante realtà di grigiore e tristezza, presa d’assalto da un esercito virulento di scimmiette infestanti. Ritrovare la lucina della speranza e della serenità sarà a quel punto determinante per rimettere in moto il parco, così come la vita interiore (e reale) della piccola June.
David Feiss su sceneggiatura di Josh Appelbaum, Andrè Nemec e Robert Gordon, dirige un film d’animazione che ha come target preciso quello dei bambini, ma in una forbice d’età non così ampia. Nella dimensione fantasiosa, a tratti splendi dosa e a tratti deprimente di un luna Park abitato da animali e che rispecchia gli alti e bassi tanto della nostra vita quanto della nostra emotività, Wonder Park fa infatti un giro d’ottovolante tra le montagne russe delle nostre esistenze, indicando come anche la vita ancora in germe di una bambina possa essere messa sottosopra da una notizia deflagrante come quelle della malattia della madre.
Un mondo magico generato dalla fantasia più fervida e ridotto in malora da uno stato d’animo all’improvviso di grande malessere e negatività è quindi il cuore pulsante attorno al quale si muove la ruota panoramica di Wonder Park. Eppure, il film d’animazione di David Feiss compie suo malgrado un giro di giostra non troppo ampio, nonostante l’intensità di un soggetto e di una storia capaci di creare un ponte simbolico tra realtà e immaginazione, percezione e stati d’animo, un discorso già meravigliosamente affrontato dal piccolo capolavoro Inside Out, e che qui ritorna in una chiave più ridotta e stilizzata, e soprattutto senza l’ampio respiro e l’avvolgente livello comunicativo che hanno fatto il successo del celebre film della Pixar.
Wonder Park si muove infatti a un livello molto più semplice e semplicistico, approcciando il discorso tra emozioni e loro riflessi con un linguaggio e una progettualità ad altezza solo ed esclusivamente bambina, mettendo in correlazione da una parte il lato comico più diretto di un gruppo di animali lanciati a sbizzarrirsi e a interagire in un parco dei divertimenti, e dall’altra un registro e un linguaggio che, metaforicamente parlando, non girano mai tanto più alti di un ottovolante dell’area bimbi.