Weekend
Dopo il successo di 45 anni con una magnifica Charlotte Rampling, finalmente anche Weekend potrà essere applaudito dal pubblico italiano.
Realizzato nel lontano 2011 con un budget irrisorio di circa 120.000 sterline e diciassette giorni di riprese, il capolavoro di Andrew Haigh ottiene la possibilità di uscire nel circuito ufficiale grazie al distributore indipendente Teodora, che ha deciso di investire su un’opera apprezzata nei migliori festival internazionali.
Da noi era già stato ammirato all’interno della cornice della Festa del Cinema di Roma.
Weekend affronta la quotidianità dei tumulti del cuore con una scrittura che evidenzia la possibilità di trovare nel realismo dei sentimenti un terreno di espressione che non sia solo la voce della freddezza assoluta.
In questo film dove la musica extradiegetica è in sostanza bandita, sono i dialoghi a imporsi sulla scena, evitando la trappola dell’assoggettamento delle parole al più stucchevole dei melodrammi.
Il montaggio lavora in punta di piedi, interconnettendo tra loro immagini legate a squarci esterni della profonda provincia britannica con sequenze ambientate in spazi casalinghi. E proprio da questo nido coatto forgiato sulla mentalità del nascondiglio dal quale non si vorrebbe mai uscire, in quanto intimo ventre cosmico dove vivere l’amore garantendosi l’immunità da qualsiasi tipo di pericolo.
La scintilla di passione che per quarantotto ore avviluppa a sé Russell e Glen è la stessa che nel corso della vita ha mandato in orbita tutti noi, chi più chi meno.
Cosa c’è di diverso allora? La differenza è che i due protagonisti sono gay e, per il cinema mainstream, questo dettaglio non è un dettaglio da poco.
Russell e Glen occupano a buon diritto gli esatti antipodi della sfera caratteriale: tanto il primo è riservato, timido, impaurito dal pensiero di esternare al mondo il proprio orientamento e le proprie scelte, quanto il secondo sbandiera l’omosessualità alla faccia dei benpensanti di turno, sputandogliela dritta in volto.
Entrambi i personaggi vivono la loro sessualità cercando di evitare la “trappola” del moralismo e conformismo ghettizzante, che li lascia inevitabilmente con un sapore di amaro in bocca.
Eppure, per un lunghissimo fine settimana, i due perfetti sconosciuti si trovano e ri-trovano, attingendo a una profonda conoscenza della propria identità che li porterà a crescere.
Questa love story fedele all’onestà di descrivere gli alti e i bassi di tante altre storie d’amore non sarebbe mai potuta esistere senza la sottile interpretazione di Tom Cullen e Chris New.
Sui corpi di questi due attori si accendono e spengono i moti dell’animo dei loro personaggi, senza incappare mai in una scissione, in uno sbaglio formale che vanificherebbe il vigore spirituale inscenato.
Di particolare intensità è la sequenza in cui Glen simula di essere il padre di Russell, permettendo all’amante di attraversare il fondativo spazio rituale del coming out, un debutto in società che finora Russell non era mai riuscito a compiere.
Così a poco a poco l’uno ridimensiona l’ostilità dell’altro, traendosi allo stesso tempo in salvo da auto-dogmi.
E come farlo se non mettendosi completamente a nudo? Per un sabato e una domenica Glen e Russell dicono no a menzogne, rifiutano (in parte) le reticenze ed evitano di arenarsi in inutili capriole dialettiche.
E anche le nudità non hanno nulla di trasgressivo, se non la banalità di un coito privo dei classici e strombazzanti fuochi d’artificio di tanto cinema eterosessuale.