Wax: We Are the X
WAX in inglese vuol dire cera, ma è anche l’acronimo che sta per We are the X (noi siamo X). Ovvero la generazione dei nati a ridosso degli anni ’80, quella ritrovatasi impigliata tra la scia finale del boom economico e l’inizio della crisi, quella comunemente definita dei ‘sacrificabili’.
Tanti non più ragazzi, oggi sopra i trenta, costretti a barcamenarsi tra lavori saltuari (quasi sempre sottopagati), precariato perenne, senso di frustrazione e inadeguatezza costanti. Tante risorse umane disperse nel mare di una crisi in piena marea, e che a conti fatti non riusciranno a godere (ammesso che arrivi) di un nuovo tempo di quiete.
Lorenzo Corvino, nato a Lecce nel 1979, questa generazione la rappresenta in pieno, anzi la incarna. Dopo una serie di spot pubblicitari di successo, decide quindi di dedicare le sue energie e il suo talento registico a questa tematica sempre attuale, impellente, rimbalzata di malavoglia di talkshow in talkshow, ma mai seriamente affrontata dai nostri governi.
Nasce così l’idea di WAX: We Are the X, storia di tre trentenni (due ragazzi italiani e una ragazza francese) inviati dal loro ‘datore di lavoro’ nella fascinosa Monte Carlo con il compito di girare uno spot. Tre sacrificabili alla ricerca della loro gratificazione, lavorativa e personale, che si ritroveranno in un paradosso metanarrativo, a vivere un’avventura quasi fuori dal tempo, e – infine - ben lontana dalle aspettative puramente professionali da cui erano partiti.
Il selfie movie
Frutto di tante idee e tante ispirazioni (cinematografiche e non), il WAX di Corvino è opera che si muove su un doppio binario: estetico e narrativo. E se dal punto di vista puramente artistico il selfie movie (così definito per l’uso sdoganato che fa delle nuove tecnologie e in particolare degli smartphone) dell’artista leccese regala veri e propri guizzi registici, supportati tanto da un’ottima fotografia quanto da un notevole senso dell’immagine e della musica (a cura di Valeria Vaglio), è proprio dal punto di vista concettuale che l’idea di questi tre giovani lanciatisi a ‘testa bassa’ lungo la rotta del solito precariato umano e professionale trova presto numerosi punti d’arresto.
Riadattando al contesto contemporaneo l’idea di un rapporto tra tre giovani adulti (due ragazzi e una ragazza) che richiama da vicino i The Dreamers di Bertolucci ma anche (volendo volare alto) Jules e Jim di Truffaut, WAX si distanzia infatti quasi subito dalla sua tematica portante, per concedersi invece una riflessione molto più ampia, slegata, sulla realtà di giovani adulti intrappolati tra aspettative e delusioni, speranze a fallimenti. Ma se nelle succitate opere di riferimento da una parte c’erano il ’68 e la prima guerra mondiale a fare da contraltare narrativo, qui la rottura generazionale è dettata dall’estrema precarietà dei tempi. Eppure, quest’ultimo, è un concetto che resta quasi sempre sullo sfondo e non prende (almeno da un certo punto in poi) parte attiva al racconto.
Il viaggio (al limite con il sogno) on the road compiuto da Livio, Dario e dalla bella Joelle, ha infatti molto più il sapore sfuggente della sospensione di un momento di vita piuttosto che la concretezza e organicità necessarie a farne un punto di vista fermo sulla questione ‘generazione perduta’. Lo smarrimento sfila via lungo le belle strade di Monte Carlo, le situazioni paradossali, i momenti di intimità e promiscuità sentimentale, quelli di nostalgia e smarrimento, un reinventarsi che appare salvifico, chiudendosi alla fine però ben lontano da dove era partito.
Bellissimo, addirittura magnetico in alcuni suoi momenti chiave e grazie all’uso potente del mezzo musicale, WAX si perde e confonde tra mille idee e tematiche, fortemente consapevole della sua vocazione artistica, ma ben più insicuro sulle fondamenta narrative della sua anima filmica.