Vittoria e Abdul: Così lontani, così vicini
L’unico motivo per cui Vittoria e Abdul possa magnetizzare l’attenzione dello spettatore in cerca di cosa guardare è il regista: Stephen Frears. Il cineasta britannico ha sempre saputo tratteggiare storie singolari o quanto meno da angolazioni singolari.
Quindi quello che sarebbe potuto essere un massiccio polpettone storico, avrebbe potuto avere delle possibilità.
Lavoro riuscito a metà. Effettivamente il film è spaccato decisamente in due. Una prima parte in cui l’indiano Abdul, e il suo amico Mohammed, arrivano nel Regno Unito. Lo stupore, lo scontro culturale e tutto il sistema farraginoso della corte, danno al film una grande freschezza, qualche risata e quella marcia in più, alla Frears potremmo dire.
Superata questa prima fase, però, ci si tuffa in un melodramma storico, dove quanto accaduto prima dovrebbe essere sostituito dagli “intrighi di palazzo” per liberarsi dell’indiano… e la formula non funziona.
Tempi dilatati, una storia, che se andiamo a scavare risulta decisamente romanzata e poco credibile. La più potente regina della storia (e anche la più longeva prima di Elisabetta II), e vero che negli ultimi anni di regno aveva perso lucidità, ma restava comunque la Regina Vittoria, che diamine.
Il film diventa così uno spot sulla tolleranza: l’indiano, di colore e pure mussulmano che arriva alla corte Inglese e viene accolto come fosse un figlio… ma se è tutto così facile, perché stiamo ancora qui a discutere di influenze in Medio Oriente, degli strascichi della dominazione britannica, di razzismo, classismo, ecc…
Un discorso a parte merita il povero “Bertie”, l’erede al trono, a proposito è Eddie Izzard irriconoscibile, dipinto come un inetto rancoroso. Diventerà Edoardo VII, uno dei migliori monarchi della storia di Albione, definito “pacemaker” per la sua capacità di gestire l’impero coloniale più grande che si sia mai visto e, allo stesso tempo, tessere rapporti con tutte le monarchie europee. Altro che bamboccio.
In ogni caso il film è sulle spalle della Dench, che solo grazie alle sue conclamate capacità riesce a restituire una Regina Vittoria forte, ma con le sue debolezze, peraltro aveva già fatto “le prove” con La Mia Regina qualche lustro fa.
Alla fine è la storia di due persone condannate alla solitudine, per motivi diversi, la Regina nella sua necessaria torre d’avorio e Abdul in mezzo a degli stranieri che, di fondo, lo odiano.