Viggo Mortensen da Oscar in Green Book
And the winner is...Green Book!
Alla tredicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, quella delle storie vere, Green Book, di Peter Farrelly, è senz'altro la più bella. Una coppia così ben assortita non si vedeva da tempo e Viggo Mortensen e Mahershala Ali fanno faville. Il primo è un vero portento: con i suoi venti kg in più e la parlata italiana – l'attore conosce bene la nostra lingua e ha parlato anche in italiano durante la conferenza stampa – Viggo regala una performance incredibile e svela una vena comica inaspettata.
Di tutte le proiezioni per la stampa, Green Book è quella che si è aggiudicata l'applauso più entusiasta. Meritatissimo. Perché il regista ha portato sullo schermo una storia di amicizia che racchiude in sé molto di più. Green Book racconta infatti di quando l'italo-americano Tony Vallelonga detto Tony Lip, buttafuori di un club frequentato da malviventi di vario calibro, diventò l'autista di Don Shirley, pianista di successo con cui all'inizio degli anni '60 affrontò un tour in giro per gli Stati Uniti.
Dopo essersi aggiudicato il Premio del Pubblico al Toronto International Film Festival, Green Book è anche in odore di Oscar e vanta una serie infinita di primati e curiosità.
Peter Farrelly infatti, ben noto per i film comici quando non decisamente demenziali, diretti insieme al fratello Bobby, cambia decisamente registro per affrontare una commedia drammatica intrisa di tematiche serie e universali. Era il suo sogno ma aspettava il momento giusto e quando ha letto la sceneggiatura, si è proposto lui stesso come regista. Ed ha fatto bene: perché probabilmente era l'unico che sarebbe riuscito a far ridere a crepapelle la platea durante un film che parla, tra le altre cose, anche di razzismo.
Il raffinato lavoro a sei mani sulla sceneggiatura è stato affidato a Nick Vallelunga, figlio del protagonista reale della vicenda, a Brian Currie e allo stesso Farrelly: nel corso di svariati mesi hanno esaminato i video e gli audio raccolti da Nick durante gli ultimi anni di vita sia di Tony che di Don Shirley, e il risultato è una storia edificante, potente ed incredibilmente attuale – basti pensare alle ondate di razzismo che ancora oggi pervadono gli Stati Uniti, e non solo – che nella prima parte mette maggiormente in risalto Tony, con la valanga di risate che il suo personaggio suscita, mentre nella seconda si concentra sul pianista di colore, alle prese con i pregiudizi e le indegne restrizioni cui i neri dovevano sottostare in tutta l'America, in alcuni stati più che in altri.
Sono due uomini agli antipodi: Tony è rude, sgrammaticato, dice parolacce, mangia una quantità esorbitante di cibo spargendo cartacce sul sedile del passeggero e non ha problemi a dire le cose come stanno o a rifilare cazzotti. Don, al contrario, è un uomo riservato, di grande cultura, dal linguaggio forbito. E' anche un po' snob, se vogliamo, e non si sognerebbe mai di mangiare del pollo fritto con le mani. Ma Tony lo costringe a provarlo e la scena dei due che ridono, con le mani unte, prima di lanciare gli ossi dal finestrino, ha anche un ché di poetico.
Ma cos'è il Green Book che dà il titolo al film? Nient'altro che una guida per viaggiatori di colore, che contiene hotel e ristoranti accessibili appunto ai “coloured”. Perché a quei tempi, le leggi di Jim Crow ponevano limiti su dove i neri potessero mangiare, dormire, sedersi, fare acquisti, camminare. Addirittura su quali fontanelle fossero loro consentite per bene.
E questa è una realtà che Tony non conosce e che a poco a poco, nel viaggio on the road di due mesi che li conduce da Pittsburgh all'Indiana, dall'Iowa al Kentucky - “e quando mi ricapita il Kentucky Fried Chicken?” -, dalla Carolina del Nord a Memphis, passando infine per Arkansas e Mississippi, lo fa entrare in contatto con l'esistenza di Don, portandolo a guardare il pianista in modo diverso, con maggiore rispetto e considerazione.
Storia di grande profondità e dotata di una percezione emotiva davvero unica, Green Book è perfetto, sotto tutti gli aspetti. Accattivante dal punto di vista stilistico – congeniale l'uso studiato di luci e ombre per le sequenze con più alto tasso drammatico -, brioso dal punto di vista del ritmo – splendido a questo proposito il montaggio della prima sequenza al club Copacabana -, dotato di grande sensibilità ma al tempo stesso privo di inutili sentimentalismi; il film si avvale anche di una colonna sonora strabiliante fatta di jazz, rock 'n roll e dei meravigliosi brani di Shirley e del suo trio e conta su una accuratissima ricostruzione di ambienti e costumi dell'epoca.
E che dire degli attori? Oltre ai due volti d'eccezione - Mahershala Ali è reduce dall'Oscar come Migliore attore non protagonista per Moonlight - e al personaggio femminile, affidato alla bravissima Linda Cardellini, il cast include anche gli stessi parenti del vero Tony Vallelonga e di sua moglie Dolores. Giusto per dare quel tocco in più di realismo, elemento che è già di per sé uno dei pilastri su cui poggia il film.
Non resta che andare a vederlo al cinema per rimanere affascinati da una delle più belle storie di amicizia mai raccontate, una di quelle che mostrano come due persone completamente diverse possano imparare a capirsi e a rispettarsi, che rimangono impresse come lo sono rimaste nelle menti di Peter Farrelly e Viggo Mortensen.
E chi sa che la notte degli Oscar non riservi qualche sorpresa.