Venezia76: Joker, la maschera eroica dei nostri turbamenti più profondi
Nella città di Gotham City vige il caos più totale e mentre le strade sono sprofondate nei rifiuti e nell’anarchia civile, la forbice tra ricchi e poveri, vincenti e perdenti si fa sempre più ampia. Arthur Fleck (uno straordinario Joaquin Phoenix) vive con la problematica madre, ha un disturbo compulsivo della personalità che lo porta ad avere accessi di riso irrefrenabili, e per campare fa il clown anche se sogna di sfondare come comico. Ma la sua vita è piena di dolorose illusioni. Vessato e sbeffeggiato da tutti, spesso malmenato per i suoi “modi strambi”, e deriso perfino nel suo sogno di comico, Arthur sprofonda ogni giorno di più in un giogo di malessere e depressione alimentato da quella invisibilità crescente agli occhi del mondo. “Nessuno si mette mai nei panni del prossimo”, dirà poi condannando la deriva di quell’eccesso di indifferenza e disumanità. Immerso in un contrasto di bianchi e rossi, di luce e dolore, Arthur trasformerà poco alla volta il suo malessere interiore in una maschera forte, da usare in quel mondo alieno e indifferente, capace di attutire e in qualche modo metabolizzare i propri demoni emotivi.
“Put on a happy face!” - “Indossa” un volto felice
Su un personaggio enigmatico, sfaccettato, eclettico e profondamente controverso come quello di Joker, Todd Phillips (regista delle bravate di Una notte da leoni e sequel) realizza un film straordinario che, al festival di Venezia 2019, non delude le alte aspettative con cui era stato preannunciato. Cucito addosso a un Joaquin Phoenix smagrito e straordinariamente in parte, e che con questo ruolo potrebbe davvero aspirare a qualche premio importante, il regista newyorkese lancia sul grande schermo un’opera provocante e provocatoria che segue la parabola bellissima e rivoluzionaria della necessità degli oppressi di indossare una maschera della rivolta, di raggiungere un punto X in cui, fregarsene di un mondo che se ne frega è l’unico modo per sopravvivere agli altri ma soprattutto a sé stessi.
La difficoltà di essere sempre felici, unita alla pena che si apre di fronte alla mancanza di attenzioni altrui, e alla sofferenza coltivata lungo un dolore latente ma costante, sono infatti tutte le piccole micce che poi fanno detonare un’esistenza, la esplodono in una bomba che pur deflagrando tanto non sarà mai in grado di farci male: “perché se non abbiamo più nulla da perdere, niente può davvero ferirci”. E dal contrasto cromatico ed emotivo tra colori ed emozioni, tra il bianco della purezza e della follia (le strutture psichiatriche) e il rosso della rivoluzione (il sorriso di Joker, il sangue versato) Phillips fa un lavoro di senso estetico che doppia il notevolissimo lavoro interpretativo di Phoenix e traduce in nuance e movimenti precisi tutti i contrasti e le contraddizioni di una vita ai margini che lentamente implode, e poi esplode per riguadagnare la sua centralità.
Capo della rivolta dei pagliacci vessati e di tutti coloro il cui sorriso è mutato in una smorfia di sofferenza a causa dell’indifferenza del mondo, Joker assurge così a simbolo ed emblema dei nostri turbamenti più profondi, del nostro sentirci soli e abbandonati a noi stessi, del nostro dover essere maschere comiche in una vita di tragedie. E nel lento fluire di un malessere che risale lento fino a galleggiare in superficie, Joker illumina e incarna il valore di una vita che molto spesso rende la tragedia farsesca, e che a suo piacimento muta lacrime in risate o carezze in schiaffi. Un film straordinario nella sua capacità di dipingere a piccoli colpi di pennello il volto di uno dei nemici più allegorici di sempre, e che si attesta come qualcosa che trascende il cinecomic per farsi un’opera intensa e di rara attualità sull’oscuro ed esasperato individualismo delle nostre società moderne.