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Veloce come il vento
Sedendosi a vedere questo film il pensiero potrebbe correre a Velocità Massima di Vicari distante ormai quasi 15 anni. Errore!
Quel film, all'epoca aveva anche dei punti di forza, ma molti di debolezza, il vero paragone di Veloce come il vento è l'americanissimo Giorni di Tuono.
Si, qui abbiamo Sparco e Magneti Marelli invece di Mello Yello e City, però lo stile di regia, come anche la fotografia ricordano il grande Tony Scott. Sulla storia poi nulla da dire, decisamente c'è.
In quell'Emilia dove su respira tigella e motori, e chi c'è stato lo sa bene, si snodano i circuiti su cui corre la vita della giovane Giulia, promessa della velocità su 4 ruote seppur ancora senza patente. Purtroppo rimane da sola proprio quando ha più bisogno d'aiuto. Con un'ipoteca sulle spalle, un fratello piccolo a cui badare e il titolo di campione d'Italia da conquistare per cercare di salvare la sua vita.
E' qui che compare Loris, fratello tossicodipendente dieci anni più vecchio di lei... lo chiamavano il "ballerino" ai tempi d'oro, quando correva imprendibile sulle curve del circuito di Imola. Oramai è l'ombra di se stesso, e forse nemmeno quello, ma è anche l'unica persona a cui Giulia si può aggrappare e anche l'unica persona che sa far correre una macchina veloce come il vento.
Matteo Rovere non ci confeziona la solita storiella di gare e voglia di vincere, certo ci sono anche quelle, ci mancherebbe, ma c'è molta visceralità, c'è tutto il dramma di un tossico che attraverso le nebbie del crack vede quello che sarebbe potuto essere, sente di nuovo il calore di una famiglia e torna a vivere le sue passioni, ma con i limiti di chi oramai non è più completamente li.
E anche la storia di Giulia, giovane pilota è molto diversa dalla patinatura delle classiche corse, è ben lungi dall'essere un mero duello con il "padrone" cattivo e spietato.
Sarà che si parte da una storia vera, sarà che gli autori finalmente hanno potuto metterci del loro senza doversi preoccupare di facili sorrisini o banalità, ma il risultato dimostra che se vogliamo e non cerchiamo di fare le solite fotocopie di film già visti, possiamo creare delle gran belle cose.
I due protagonisti poi sono perfetti, se Matilda De Angelis è una gran bella sorpresa, lo è ancor di più Stefano Accorsi, che forse proprio grazie a questo ruolo "brutto e sporco" si scrolla di dosso quella sorta di aura di santità che a volte lo rende quasi antipatico.
Certo guida sempre una Peugeot, ma i suoi spot dannati commerciali sono molto lontani da qui.
Infine una parola a parte la merita il regista e anche un bell'applauso. Al di là della direzione degli attori, c'è un film esteticamente fantastico. Il suo ce lo avrà messo sicuramente anche il direttore della fotografia Attanasio, ma le riprese di gara e dei paddock sono di un realismo eccezionale e il look asciutto e contrastato efficacissimo. Non per nulla all'inizio si è smosso il fantasma di Tony Scott, uno che girava l'azione come pochi al mondo.