Undine – Un amore per sempre. Il mito tragico dell’amore

Undine (l’ottima Paula Beer premiata, per questa interpretazione, con l’Orso d‘Argento al Festival di Berlino 2020) è giovane e appassionata, è laureata in storia e lavora come guida presso il Märkisches Museum di Berlino, esponendo ogni giorno e ai tanti visitatori la storia della città che si manifesta attraverso la diversa connotazione e stratificazione dei suoi edifici. Ma quando il suo compagno Johannes la lascia, con due parole, proprio al tavolino di quel caffè romantico dietro al museo dove lei lavora, Undine resta pietrificata, traumatizzata da quell’amore spezzato, e cova un sentimento di rabbia e vendetta nei confronti dell’ex. Eppure, il destino imprevedibile della vita le farà incontrare proprio quello stesso giorno il sommozzatore Christoph, una creatura che ripara le cose dai fondali, e che come emersa per magia dalle acque di un fato mitologico, catturerà il cuore di Undine trascinandola in una nuova vita, e in una danza d’amore tragica e bellissima. 

Il tedesco Christian Petzold (La scelta di Barbara, Il segreto del suo volto) riparte dal mito dell’ondina (creatura magica dell’acqua) e dalla magia stessa dell’amore per realizzare un’opera che mischia favola e realtà, percezione e illusione per parlare del mito tragico dell’amore e delle controverse emozioni che lo animano.

Delicata incursione nel dolore sordo di chi scopre di non essere più amato e piomba in un senso di solitudine disperato per poi riaffiorare, come per magia, per mano di un nuovo amore più vero, sincero, forse eterno, Undine si muove attraverso la fluidità di quell’acqua che tutto avvolge e tutto cela, e nella potenza emotiva di una protagonista quasi magica, che nei silenzi e negli sguardi, racconta e celebra tutta la profondità di un dolore che si rigenera, di un destino da compiersi suo malgrado, di un elemento (l’acqua, appunto) dal quale nascere e al quale (sempre) ritornare.

Grazie a uno sguardo delicato, a una regia che va in cerca di attimi d’ombra ed efficaci  simbolismi, di un commento sonoro che culla, candido, il cuore emotivo del film, l’opera di Petzold fonde la fluidità dell’acqua e dell’amore per restituirne, in superficie, i piccoli frammenti di un vivere che non è mai come pensiamo o vorremmo, e che si agita sopra o sotto la superficie instabile delle nostre aspettative.

Minimalista nel suo muoversi nei tre, quattro luoghi che definiscono tanto la città di Berlino quanto gli amori intrecciati che muoiono o nascono sulla sua superficie, capace di un linguaggio che fa dell’ermetismo la sua forma più eloquente, Undine indaga gli enormi spazi bui creati dalle attese e dalle perdite, così come le piccole ma fortissime luci animate dalle speranze e dalle sorprese. Il circolo vizioso, sinuoso, e profondamente simbolico di un amore universale che trascende i tanti amori che lo costituiscono.

Morte e rinascita, speranza e agonia, il film di Petzold raccoglie tutti i contrasti delle viscerali emozioni amorose e li fonde in un film magnetico, dalle sembianze magiche, eppure estremamente e profondamente reale nei suoi “abissi di significato”.

 

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