Un poetico elogio della follia – Recensione di “La Primula Rossa”
Se negli anni '70 era molto più facile assistere a film di inchiesta che rispecchiavano una realtà molto più difficile di quella odierna, è pur vero che le storture da cui il nostro meraviglioso Paese è ancora travolto meritano approfondimenti che non siano quelli dei vari e, pur utilissimi, Report e compagnia. La Primula Rossa docu-film di Franco Jannuzzi crea proprio un ponte tra gli anni bui del terrorismo e i nostri anni di “benessere” in cui non ci sono più i manicomi eliminati dalla legge Basaglia del '78 ma ci sono strutture che ne fanno evidentemente le veci. Qui si parla di psichiatri illuminati che vogliono cambiare le cose ma soprattuto si parla di persone che avrebbero voluto e dovuto essere qualcos'altro.
La Primula Rossa del titolo è Ezio Rossi, militante dei Nuclei Armati Proletari ma qui, nel film, la lotta politica ha poco peso perché il tutto vira verso una visione poetica (e, nel terrorismo non c'è mai poesia) che narra la storia di persone prigioniere di orrori indotti o no che sembrano senza via di fuga ma che, magari, in forme varie, c'è.
Il film è quasi chirurgico nel rappresentare le brutture di strutture strangolate da una rigidità quasi ossessiva e l'anelito al volo descritto dalle lettere di alcuni dei pazienti delle strutture stesse. Sarebbe piaciuto a Zavattini, un film così, che fonde la struttura dei cinegiornali liberi con un “elogio” della pazzia, tema carissimo al grandissimo autore luzzarese. Forse qui non c'è la sua leggera ironia (il racconto, anzi, si apre con scene molto dure) ma c'è comunque quella poesia di cui parlavamo, che rende il tutto più cinematografico che televisivo. Ben vengano film così.