Un lungo viaggio nella notte – Il riflesso crepuscolare della memoria

La differenza tra il cinema e la memoria è che il cinema è sempre falso mentre con la memoria non puoi distinguere il vero dal falso

Luo Hongwu fa ritorno a Kaili, sua città natale, a distanza di dodici anni. Nel suo passato in quel luogo si celano e muovono scomposti molti ricordi soffusi e sovrapposti, transitori e indelebili. Una madre, una donna amata, un omicidio, un “randagio”. Attraverso un lungo viaggio dentro una notte fatta di sogni mescolati alla realtà e di realtà intrappolate nei sogni, l’uomo si farà strada attraverso la materia liquida della sua mente, tra proiezioni, desideri e suggestioni oniriche. Circondato dal verde, dal rosso, e da un’oscurità fitta sempre mista a pioggia, Luo Hongwu incontrerà i volti del suo passato, dialogherà con i fantasmi dei suoi ricordi, immerso appieno nella sostanza più rarefatta del suo essere, e in una sorta di vero e proprio flusso di coscienza che mescola e sovrappone realtà e ricordo, memoria e fantasia, sogno e utopia. 

Attraversato da un’atmosfera liquida che ricorda da vicino i riflessi amorosi di Wong Kar-wai, il cinese Gan Bi rievoca e rivisita la sua opera prima (Kaili Blues - 2015) per “disegnare” l’odissea intima e intimista di Un lungo viaggio nella notte (presentato nella sezione Un Certain regard a Cannes 2018).

Un’opera inafferrabile, crepuscolare, non del tutto decifrabile, ma profondamente affascinante proprio per il suo essere in grado di restare perfettamente sospesa tra film e memoria, narrazione e suggestione. La ricerca incessante di un amore perduto tra i riverberi di un karaoke decadente e una misteriosa miniera, e che si mescola ad altri personaggi chiave della propria vita intima, scorre languida tra luoghi a un tempo tetri e incantati, tutti legati a doppio filo al riflesso crepuscolare di una memoria che assorbe e rielabora tutto, riassemblando a proprio piacere la liquidità delle immagini della mente. Tempo e luoghi sprofondano così in unico grande (e suggestivo) contenitore emozionale dove ogni sequenza del film è un po’ film nel film e anche film a sé stante.

Nella densità poetica di una regia magistrale che sfrutta il piano sequenza, il 3D ma anche i droni per restituire una messa in scena visivamente “esaustiva” ed emotivamente immersiva, Gan Bi rielabora il suo personale pensiero sul cinema e sull’amore, sulla vita e sul volto a tratti inquietante e fagocitante del ricordo - “Vivere nel ricordo mi terrorizza”.

A metà strada tra opera filmica e trattato filosofico per immagini, Un lungo viaggio nella notte snocciola tutte le sue madaleine proustiane attraverso un percorso che fa della rarefazione il suo linguaggio più potente e che filtra in uno specchio acquitrinoso la complessità della coscienza umana, del proprio subconscio, scardinando il binario reale di una corsa in miniera verso il sentiero libero del “vivere in un sogno”, totalmente scevro da regole e freni.

Onirismo allo stato puro che si disegna nella mano di un giovane regista (classe 1989) di incantevole audacia e magistrale talento, da tenere senz’altro d’occhio.