Un altro giro – Bere per ritrovarsi o smarrirsi definitivamente

Martin (il sempre bravissimo Mads Mikkelsen) è professore di storia presso un istituto superiore in Danimarca. Un tempo uomo, compagno e insegnante di verve, da troppo tempo Martin è mutato in una persona apatica, spenta, priva di slanci, tanto in famiglia quanto a livello professionale. Incalzato dagli studenti (nonché dai rispettivi genitori) e dalla crisi del rapporto con la moglie, l’uomo abbraccerà quindi appieno l’idea dei suoi tre amici Tommy, Nicolaj e Peter, (tutti insegnanti come lui) di fare un esperimento alcolico seguendo la teoria del norvegese Finn Skårderud. Secondo lo studioso, infatti, nasciamo tutti con un livello di alcool minimo nel sangue, e per mantenere slancio, produttività, e creatività, dovremmo continuare per tutta la vita a tenere stabile quel livello. I quattro amici inizieranno dunque l’esperimento bevendo (in orario di lavoro) la quota alcolica stabilita, e riscontrando subito dei miglioramenti nell’ottica tanto delle loro prestazione relazionali quanto di quelle professionali. Ma si faranno poi prendere la mano con l’intento di vedere cosa potrebbe accadere alzando ancora di più l’asticella del livello alcolico. Bicchiere dopo bicchiere, la situazione sfuggirà in qualche modo di mano, spingendo i quattro a raddrizzare, o a levare del tutto il freno, alle loro vite.

Tra ragione e sentimento

Vincitore agli Oscar del premio Miglior Film Straniero, l’ultimo film di Thomas Vinterberg è un viaggio alcolico nelle tante fragilità delle nostre “strutture esistenziali”. Sottoposti alla prova dell’alcool per dimenticare, o forse per ricordare meglio (come lo studente di filosofia in panne di fronte alla commissione d’esame), i quattro protagonisti faranno ognuno un personale viaggio nelle pieghe delle loro difficoltà, marginalità, sofferenze, e frustrazioni. Persi tra ragione e sentimento, tra la volontà di dare sempre il massimo e il limite tutto fisico – e umano – del non poterlo fare, gli amici si faranno trascinare dalla capacità dell’alcool di ottimizzare stati d’animo e rendimenti, senza considerare che l’alcol - come un po’ tutti i vizi e le potenziali dipendenze - vadano a incunearsi e a riempire proprio quegli spazi vuoti di fragilità, deflagrando in qualche modo ogni equilibrio.

Vinterberg dirige con mano ferma e partecipata le rivoluzioni, conseguenze, e ripercussioni di un esperimento che gioca sul confine assai labile tra equilibrio e perdita dello stesso, tra sogno e miraggio. Bicchiere dopo bicchiere, bottiglia dopo bottiglia, il regista danese da sempre interessato a esaminare gli ingranaggi comunitari e sociali, insegue la naturale melodia ed euforia che l’alcol è in grado (almeno per un attimo) di regalare.

Accarezzati da una luce avvolgente e bellissima (il manifesto della Zentropa – che produce - fa in qualche modo ancora scuola) i quattro protagonisti danzano attraverso la loro crisi di mezz’età, avvinti tra di loro e a una parabola comica, dai risvolti tragici, con un finale toccante: catartico e liberatorio.

Proprio come la vita, una continua lotta tra la razionalità di un necessario equilibrio e la sfrenata esigenza di perdere i freni inibitori, Un altro giro ci guarda e riguarda da vicino, ci fa tutti protagonisti, ci rende orgogliosi dei nostri successi e – forse - un po’ più consapevoli del valore che può avere la capacità di metabolizzare il fallimento, di “comprendere la nostra fallibilità” (S. Kierkegaard).

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