"Tre manifesti a Ebbing, Missouri", il thriller elettrizzante di Martin McDonagh a Venezia74

In una remota quanto polverosa cittadina del Missouri una ragazza adolescente è stata barbaramente uccisa e, dopo mesi, non vi è ancora l’ombra di un presunto colpevole. La madre della ragazza, Mildred Hayes (una straordinaria Frances McDormand), dopo una lunga e vana attesa, decide quindi di fare qualcosa per smuovere lei stessa il corso delle indagini. L’idea è quella di  affiggere come cartelloni pubblicitari (tre, di quelli enormi e visibili da strada) alcune dichiarazioni rivolte alla polizia della città, e in particolare allo sceriffo capo William Willoughby (Woody Harrelson), al fine di provocare una loro replica e quindi rilanciare le indagini. La reazione della comunità di fronte alla ‘provocazione’ non tarderà a farsi sentire, e tutti accuseranno Mildred di aver scelto una via poco ‘consona’ d’azione. La stessa polizia proverà a dissuadere la donna, che resterà però determinata a perseguire il suo intento. L’ostinazione di Mildred determinerà una sorta di testa a testa tra lei e le forze dell’ordine, al quale si sommeranno anche altre situazioni ‘critiche’, in primis le  maniere poco ‘ortodosse’ e sottilmente razziste di Dixon (Sam Rockwell), vice di Willoughby incapace di tenere a bada la sua testa calda.  

Al giro di boa del quinto giorno, il concorso del Festival di Venezia 2017 regala un film sorpresa in grado di dare uno scossone alla competizione, e di elettrizzare lo spettatore per la raffinata e potente qualità che lo contraddistingue. Si tratta del thriller Three Billboards Outside Ebbing, Missouri (Tre manifesti a Ebbing, Missouri), scritto e diretto dal regista inglese Martin McDonagh (nella sua filmografia figurano anche In Bruges e 7 psicopatici).

Un thriller che per atmosfere e tematiche sembra riportare in auge le atmosfere di True Detective, con un ‘tocco’ di Fargo (tanto il film quanto la serie).  E infatti, la fitta rete di colpe, responsabilità, e vendette che si determinano nello sviluppo della trama di Tre manifesti a Ebbing, Missouri è un crogiuolo di riflessioni e ‘sentimenti’ che hanno a che vedere con la vita di comunità remote, le ipocrisie e le nefandezze che le (possono) attraversare. Il ruolo della polizia, così come quello della chiesa o dei cittadini viene messo sotto ‘torchio’, perché ognuno in fondo ha e svolge un ruolo importante all’interno di una comunità e non può sottrarsi al proprio impegno. Alla ricerca di una giustizia che sembra non arrivare mai, Mildred Haynes finisce così per incarnare la vendetta ‘morale’, la controversia umana di una madre ferita nel profondo e dunque disposta a fare qualsiasi cosa pur di arrivare (se non altro) alla verità.

Martin McDonagh scrive e dirige questo film che brilla, letteralmente, per una scrittura che centra le tematiche, il registro, la tenuta narrativa e il gran finale senza sbavature di sorta. La giostra della vita, dei destini che s’incrociano sul sottofondo di una musica country che ogni tanto ‘s’impenna’, sono qui descritti in tutta la loro violenza, la loro crudezza, in una dimensione costante di non politically correct che corre sempre sul filo, senza mai però oltrepassare il confine del grottesco. Incipit e chiusura sull’immagine di quei tre cartelloni che segnano la via di questa parabola di diffusa e mancata morale, rispecchiano la perfetta esecuzione di una tesi sulle ramificazioni di un male messo alla berlina, pubblicizzato, issato sotto gli occhi di tutti, e che riecheggia nelle aberranti parole “stuprata mentre moriva”.

Frances McDormand (in un’interpretazione senz’altro in odore di premi) regala una prova brillante, e la sua Mildred è uno di quei personaggi la cui forza riesce letteralmente a uscire dallo schermo. Ma non è da meno tutto il resto del cast, ottimamente assortito, e che include tra gli altri anche i già citati Woody Harrelson e Sam Rockwell. Un film geniale sotto molti punti di vista, ma dove il valore di una scrittura vibrante la fa senz’altro da padrone.