Train to Busan
Se il compianto cineasta spagnolo Amando De Ossorio provvide nel lontano 1972 a far massacrare dai morti viventi i passeggeri di un treno in viaggio nel corso della fase conclusiva de Le tombe dei resuscitati ciechi, lo specialista in animazione sudcoreano Yeon Sang-ho decide di sfruttare una analoga situazione on the road per estenderla, però, quasi alla totale ora e cinquantotto di visione alla base di Busanhaeng (Come s’intitola Train to Busan in patria), suo primo lungometraggio live action.
Infatti, dopo un promettente inizio che vede coinvolto un cervo investito, pone Gong Yoo nei panni di un padre divorziato che, addetto alla gestione di fondi, parte insieme alla figlioletta incarnata da una stupefacente Kim Soo-an per raggiungere a Busan la madre di lei; mentre un virus non identificato sembra essersi diffuso velocemente in tutto il paese, trasformando i comuni mortali in aggressivi esseri zombeschi.
Esseri tutt’altro che appartenenti alla tradizione delle classiche salme ambulanti lente e dinoccolate, ma veloci e scattanti come buona parte degli infetti sbrana-umani portati sullo schermo nel XXI secolo, da 28 giorni dopo di Danny Boyle a World War Z di Marc Forster.
Titolo, quest’ultimo, non poco richiamato alla memoria nelle frenetiche immagini di massa dei mostri impegnati ad attaccare i viaggiatori, sebbene qui non si tenda affatto a privilegiare la spettacolarità da action-movie ad alto costo al servizio di un divo belloccio di Hollywood (lì era Brad Pitt), ma, pur concedendo moltissimo spazio al movimento e alle aggressioni, ci si concentra sui diversi personaggi coinvolti. Perché è vero che, tra interminabili fughe nei corridoi dei vagoni, porte scorrevoli sempre pronte ad essere chiuse per sfuggire agli assalti e lotta per la sopravvivenza, a lungo andare si rischia di scadere nella monotonia, ma ciò che veramente interessa al regista – che evita le esagerazioni splatter, nonostante il tema trattato – sembra essere la feroce critica sociale nei confronti di un mondo sempre meno altruista e sempre più vigliacco.
Aspetti testimoniati dai disgustosi comportamenti sfoggiati da determinate delle figure coinvolte; man mano che ci si avvia verso un’ultima parte atta a tirare in ballo sia un convoglio ferroviario in fiamme che un altro in corsa che si trascina dietro le creature che non sembrano volerne sapere di mollare la presa. Prima che un epilogo per nulla scontato, in evidente omaggio a La notte dei morti viventi, chiuda un elaborato che, senza dimenticare l’ironia e una spruzzata di melodramma tipica della Settima arte orientale, funziona più che sufficientemente dal punto di vista dell’intrattenimento... pur non regalando niente di particolarmente memorabile ed originale.