Torno da mia madre
Forse perché vi si conoscono e riconoscono bene debolezze, peculiarità e idiosincrasie l’uno dell’altro, o forse più semplicemente perché è lo specchio delle nostre gioie e paure più profonde. Fatto sta che la famiglia può essere il luogo più bello al quale tornare, ma anche uno di quelli più pericolosi dal quale voler fuggire.
Il cinema ha spesso trovato nell’armonia o nella frizione degli affetti famigliari (dal classico e nostrano Parenti Serpenti fino al dissacrante e più ‘nordico’ Festen) un luogo speciale al quale guardare per raccontare mondi e società, passato storico e tempo presente. Dalla Francia, nazione attualmente attanagliata da una crisi non tanto economica quanto morale, generata dalle frizioni ideologiche, religiose e sociali, Eric Lavaine firma una commedia universale e contemporanea che parla di instabilità attuali e di un tema sempreverde, ovvero quello del rapporto conflittuale che c’è (quasi sempre) tra una madre e una figlia, specie se ci si ritrova a vivere sotto lo stesso tetto e in età adult(e).
In un’estate che di spensierato ha ben poco e dove, soprattutto dal territorio europeo e in particolare dalla Francia, arrivano senza sosta notizie di tragedie, paura, timore, Torno da mia madre raccoglie il retaggio di questa profonda crisi umana per riflettere in maniera leggera ma non del tutto superflua sull’importanza dei legami, quelli acquisti ma soprattutto quelli fondanti, che nascono con noi e non possono essere in alcun modo recisi (almeno non del tutto). Lavaine mette a confronto due generazioni (l’analogica e la digitale), due tipi di donne (la spensierata e la puntigliosa), e soprattutto due condizioni esistenziali (sommario equilibrio e manifesta precarietà), per fare il punto su modi di intendere la vita che sembrano essere profondamente cambiati col tempo e che rappresentano ora in tutto e per tutto i mondi sempre più distanti (di generazione in generazione) in cui viviamo.
Una commedia agrodolce dove amori e dissapori si siedono alla stessa tavola per tirarne fuori un conto che è sempre ‘emotivamente’ troppo salato, e che ciò nonostante va comunque pagato. La Jacqueline di Josiane Balasko veste i panni ‘colorati’ di una donna che superata l’età dei compromessi e dei traguardi può finalmente concedersi alle sue passioni. D’altro canto, sua figlia Stéphanie (Alexandra Lamy) incarna le fragilità di un tempo attuale dove la mutevolezza della condizione di vita è uno spauracchio da tenere sempre a mente, e dove si può passare dall’avere tutto al non avere nulla in un batter di ciglia. Una madre e donna ancora profondamente presa dai suoi ruoli, e terrorizzata dall’idea di non poterli svolgere come si conviene, come si vorrebbe. Donne a confronto in un’opera campione d’incassi in patria che punta tutto sulla tragicomica contemporaneità di una crisi degli affetti fotografata nel passaggio da un’idea di mondo all’altra, e che si rivela nel confronto ‘aperto’ di due donne vicinissime, eppure mai così lontane.