Torino Film Festival: The Man Who Invented Christmas. Genesi ed evoluzione del capolavoro dickensiano in un biopic seducente

Uno dei racconti da sempre più amati e belli, incentrato su un’umanità da riscattare e sulla possibilità – anche in extremis – di redenzione. Ma anche un racconto dove il tema della festività (il Natale) si associa alla straordinaria capacità di far venire alla luce i sentimenti migliori cui un uomo possa aspirare. Con The Man Who Invented Christmas  (adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo del 2008 di Les Standiford) il regista Bharat Nalluri ripropone, infatti, genesi e processo di creazione di un racconto entrato di diritto a far parte del Mito, ovvero il Canto di Natale di Charles Dickens pubblicato per la prima volta nel 1843.

Il film di Nalluri riparte dal momento più difficile per Dickens scrittore, ovvero un momento di profonda crisi all’indomani di tre flop di fila, per raccontare le fonti d’ispirazione e il momentum creativo che portarono alla nascita di Scrooge, del suo socio in affari Marley, degli spiriti di passato presente e futuro, della toccante storia del piccolo Tim. Un lungo e articolato processo che prese spunto proprio dalla vita circostante (la sua famiglia, il suo entourage di frequentazioni – letterarie e non, le persone incontrate per caso in strada) per poi diventare ossessione reale, e trasformare il suo studio in un vero e proprio tripudio di personaggi (con a capo Scrooge) in cerca d’autore. Dan Stevens è perfettamente calato nei tic e nelle abitudini del suo Charles Dickens (dall’ossessione per Thackeray e le sue critiche sempre pronte, passando per l’amicizia stretta con John Forster, fino al rapporto controverso con il padre), così come nei momenti bui e negli sbalzi d’umore tipici dello scrittore. Il suo Dickens s’infiamma di fronte all’idea, si muove sornione tra i personaggi che prendono letteralmente forma nel suo studio, e ingaggia una battaglia dialettica con la proiezione materializzata del suo Ebenezer Scrooge (un magnifico Christopher Plummer). Scrooge diventa per Dickens ispirazione e alter ego, un’idea alla quale aggrapparsi e anche attraverso la quale crescere, maturare. Il momento creativo letto dunque anche come momento catartico nella vita dell’autore, momento per fare i conti con sé stesso e con la propria parte “scroogiana”, con la necessità di fare pace con le ombre della propria infanzia e sedare il rapporto conflittuale con il padre John (l’ottimo Jonathan Pryce).

Il canto di Natale e tutto il suo valore morale rivivono quindi letteralmente in questo processo di ricostruzione realizzato da Nalluri, e la portata emotiva del racconto viene ruotata attorno al simbolo della festività, ai vari conflitti d’interessi sentimentali, e alla possibilità di redenzione tardiva, e ultima, che è poi la grande intuizione dello scritto di Dickens. Il regista naturalizzato britannico muove l’emozione del racconto lungo la pellicola e attraverso i protagonisti, per liberarla poi nel gran finale a elogio dei buoni propositi e sentimenti, e gestisce con pienezza, ritmo e aderenza sia la parte narrativa sia quella tecnica (dialoghi sapientemente articolati, una ricostruzione storica aderente, ottimo il tappeto sonoro). Tutte le tematiche del racconto di Dickens ritrovano vita nel film di Nalluri, che appare a conti fatti un’operazione ‘furba’ ma non scontata, capace dal canto suo di cogliere il senso, il sarcasmo e il sentimento del lavoro dickensiano per riproporlo in una versione solo apparentemente biografica, ma che è di fatto meta-narrativa.

Scrittore che come pochi ha saputo raccontare i poveri e gli oppressi, l’epoca fumosa e iniqua della Londra vittoriana e industrializzata, Dickens è forse davvero anche uno di quegli scrittori benedetti, capaci di “macinare” un realismo tangibile, delineare personaggi e luoghi che prendono realmente corpo pagina dopo pagina, in uno stile che rende dunque anche le sue opere assolutamente adatte per l’adattamento e la rivisitazione su grande schermo. Nonostante ciò, il lavoro fatto da Nalluri e dalla sua squadra resta pregevole: nella ricostruzione, nell’assortimento di un cast perfetto, nella scelta di una struttura che rianima letteralmente la pagina scritta e il momento storico, facendo rivivere la suggestione (in parte, e già tanto basta per infiammare i cuori) de Il canto di Natale più letto e amato di sempre. Impossibile non commuoversi.