Torino Film Festival: Closeness. Un’opera prima folgorante che narra di una prossimità sociale e famigliare dai risvolti oscuri
Nalchick - Russia, 1998. Ilana vive con la sua famiglia, appartiene a una piccola comunità di ebrei, aggiusta auto nell’officina del padre, e frequenta un ragazzo estraneo alla sua tribù. Una sera a cena, il fratello minore annuncia che a breve prenderà in moglie la compagna, ma subito dopo un evento drammatico e inaspettato giungerà a interrompere quel momento e la normale sequenza di eventi: i due giovani sono sono stati rapiti e la cifra per il riscatto ammonta a una somma che nessuna delle due famiglie può permettersi. L’intera famiglia si ritrova quindi nella disperazione, costretta a racimolare e in breve tempo la cifra necessaria per far tornare a casa il ragazzo. In questa dimensione di urgenza , la figura di Ilana risulterà in qualche modo centrale e per diversi motivi: per il coraggio e la determinazione che appartengono alla ragazza in ogni situazione, per il rapporto conflittuale che ha con la madre e che entrerà di peso nelle decisioni da prendere, e infine perché essendo donna le sue ‘aspettative’ sembrano avere sempre un peso inferiore all’interno dell’entità Famiglia.
Allievo di Sokurov, Kantemir Balagov presenta a Cannes 2017 e nella sezione Un certain regard un’opera prima che non mostra in alcun modo le incertezze di norma accordate agli esordi. Condensando evidentemente al meglio la lezione del suo mentore e in generale le lezioni del miglior cinema internazionale, l’appena ventiseienne regista russo metabolizza nel suo film una carrellata di tematiche politiche, sociali, e famigliari, senza perdere tasselli per strada, ma riuscendo anzi a condensare in due ore di film il ritratto folgorante di un’umanità ferita, costretta al giogo di scelte durissime, prove esemplari, e mortificata a tal punto da immolare a vittima sacrificale di un sistema ‘malato’ una ragazza poco più che ventenne divisa tra la voglia di non perdere sé stessa e le proprie aspirazioni, e l’urgenza di riportare a casa il fratello.
Ancora una volta, con uno stile di aderenza temporale e visiva tipico del cinema dell’est Europa (Romania docet), Balagov scandisce il suo film in sequenze che aprono veri e propri squarci sulla vita reale. La politica e i conflitti entrano dalla tv, così come ne entrano le musiche, e se a tavola e in casa vanno in scena i momenti chiave della dinamica famigliare, per le strade e nei locali angusti di abitazioni fatiscenti si muovono i passi di una storia d’amore irrealizzabile. La vita che accade. Il tempo che scivola via come fossimo affacciati realmente sul palcoscenico di quelle esistenze, di quegli accadimenti, e il senso di partecipazione mentale ed emotiva diventa a un certo punto totale e totalizzante. La vita, la società, le micro e le macro sfere si fondono e si alternano tra un dentro e un fuori campo complementari.
L’uso di un formato 4/3 favorisce poi l’incursione nella scena, l’aderenza ai personaggi e alle loro azioni in maniera così potente da mutare la vicinanza del titolo, una vicinanza che rimanda al senso di prossimità reale, morale, sociale al centro delle dinamiche narrative, a una vicinanza tra occhio osservante e occhio narrante, ma anche a una prossimità asfissiante, analizzata in un contesto famigliare che opprime e da cui sembra non esserci scampo. Incredibile come Balagov riesca a condurre con tale consapevolezza del mezzo audiovisivo un’opera prima così complessa, articolata, piena di elementi che rimandano lo schema di un’osservazione davvero assai matura di quel mondo, e del mondo in generale, di contenuti parziali e universali. La sua regia acuta e circolare poggia su una sceneggiatura precisa di dialoghi (a cura dello stesso Balagov insieme ad Anton Yarush), ma a spiccare letteralmente e a veicolare gran parte della forza del film è la protagonista Darya Zhovnar, di una bravura disarmante. I suoi silenzi, i suoi occhi tristi o innamorati, analitici o psichelidici sono il mezzo più eloquente su cui Balagov poggia l’opera per determinare il risultato e lo spessore del suo film.
Cinema che guarda alla vita cogliendone il reale attraverso l’inclusione metodica dell’estemporaneo, Closeness apre la strada a un regista di cui senza dubbio sentiremo parlare ancora in futuro. Complimenti!