The Wife – Vivere nell’ombra, ovvero: Ho sposato la mia Ghostwriter
Accade che due persone s’incontrino, facciano amicizia e si piacciano. A volte può nascere l’amore, altre un sodalizio artistico. Riflettiamoci: cosa sarebbe Katherine Hepburn privata di Spencer Tracy? Stanlio senza Olio? Topolino senza Minnie? Per brillare l’uno deve necessariamente avere accanto l’altro, altrimenti l’incanto si affievolisce. I matrimoni sono dei contratti tra due parti, dove quasi sempre c’è il socio di maggioranza accanto a quello di minoranza. Di solito, la storia ci insegna che la posizione scomoda è riservata alla donna. Chissà, per quanto tempo ancora il cosiddetto “sesso debole” dovrà rimanere prono in attesa della rivincita.
Chiediamolo alla fantomatica Joan Castleman (Glenn Close) moglie gravemente afflitta dalla “sindrome dell’infermierina” del grande scrittore Joe Castleman (Jonathan Pryce). Magari lei saprebbe darci una risposta. Nel corso della sua vita, Joan ha in apparenza rinnegato il sogno di scrivere per alimentare, proprio come una vestale romana, il sacro fuoco dell’arte, emanato dal consorte. Era lei che rammendava i calzini, lavava le mutande, passava lo straccio, accompagnava i figli a scuola e poi li veniva a riprendere. Ogni santo giorno. Era sempre lei che faceva finta di non vedere le macchie di rossetto sulla camicia di lui e, intanto, gli porgeva le pantofole, accertandosi prima che il dolce in forno non bruciasse. E, nel frattempo, la fama di lui cresceva e cresceva, tanto da essere tradotto in centinaia di lingue e apprezzato in tutto il mondo. A settantuno anni la buona stella di Joe Castleman brilla ancora alta nel cielo stellato, visibile anche nella lontana Svezia dove il suo eccezionale talento per la prosa viene premiato con il Nobel alla letteratura. Sommo gaudio e giubilo per un vecchio pallone gonfiato come lui. Marito, moglie e figlio ventenne che vorrebbe tanto assomigliare a papà partono per Stoccolma a ritirare l’ambito titolo, nientepopodimeno che dalle mani del monarca svedese. Ma, il giorno in cui il nome di Castleman entra nella storia non va come lo scrittore aveva previsto nei suoi mille sogni a occhi aperti. A rovinarglielo è il peso schiacciante della verità. No, forse, non si tratta di verità, ma di qualcosa di meno altisonante come il rimorso: il rimorso di Joan per aver accettato di lasciarsi irradiare da una fama di riflesso. Perché la farina del sacco non è di Joe, bensì della moglie che, mentre si dilettava a espletare tutte le mansioni sopra elencate, trovava anche il tempo di districare nodi narrativi, partorire personaggi memorabili e spremerne tutto il succo. La colpa è di Joe per cui figurare nell’Olimpo degli scrittori americani è sempre stato tutto. Eppure, la colpa è anche della stessa Joan, alla quale è mancato il coraggio di osare e ha preferito fabbricare un re piuttosto che indossare lei la corona. Come dicevamo prima, per brillare l’uno deve necessariamente avere accanto l’altro, altrimenti l’incanto si affievolisce. In realtà, Joe e Joan sono il dritto e il rovescio della stessa medaglia: è la stessa affinità tra i nomi a rivelarlo.
Una tragedia umana interessante quella che The Wife – Vivere nell’ombra di Björn Runge vorrebbe inscenare. E, se sulla carta, le intenzioni potrebbero quasi essere valide e smuovere le acque, la regia rende tutto stagnante o almeno lo fa pregiudicando ¾ di pellicola. Il peggio del peggio si tocca nei vari flashback ambientati nei primi anni Sessanta che, grazie anche ai dimenticabili interpreti Harry Lloyd e Annie Starke rispettivamente Joe e Joan da giovani, rispolverano i cliché maschilisti di quegli anni. Di tutt’altra levatura, i due fuoriclasse della recitazione Close e Pryce. I loro silenzi, sorrisi, premure e punzecchiature sono reali e ogni coppia collaudata vi può riconoscere qualcosa dei propri silenzi, sorrisi, premure e punzecchiature. Curiosamente, l’attrice aveva già indossato i panni della “First Lady” inappuntabile ne La donna perfetta di Frank Oz, remake de La fabbrica delle mogli.