The wicked gift, italiano medium
Sono presenti anche i David White e Michael Segal che i fan dell’horror a basso costo conoscono, tra l’altro, per gli zombie movie Apocalisse zero: Anger of the dead e Zombie massacre 2: Reich of the dead all’interno della oltre ora e cinquanta di visione che rappresenta il primo lungometraggio diretto dal tarantino classe 1992 Roberto D’Antona, proveniente dall’universo degli short e dei fan film riguardanti l’indagatore dell’incubo Dylan Dog.
Lo stesso Roberto D’Antona che, oltre a firmarne la sceneggiatura, vi ricopre il ruolo del giovane protagonista Ethan D’Amico, timido e piuttosto riservato designer afflitto da anni da una insonnia causata da terribili incubi; fino al momento in cui, pensando di avere disturbi della personalità, decide di andare in terapia.
Anche se, man mano che viene ribadito che i sogni non siano altro che un fenomeno psichico, a segnare l’inizio di un lungo viaggio destinato a condurre Ethan alla consapevolezza che le proprie terrificanti esperienze oniriche nascondano qualcosa di molto più oscuro di ciò che possa immaginare finiscono per essere l’aiuto del suo migliore amico e di una spiritista (o medium, secondo il gergo comune). Un personaggio volto ad arricchire lo stuolo di facce coinvolte nello svolgimento di quello che, mirato oltretutto a precisare che i demoni scelgono i corpi deboli in modo da poterli comandare a loro piacimento, non manca di guardare in maniera evidente al cosiddetto J-Horror, ovvero il cinema dell’orrore giapponese, particolarmente affermatosi in Occidente in seguito all’enorme successo riscosso da The ring di Hideo Nakata, del 1998. Del resto, tra apparizioni improvvise ed occasionali, piccoli spargimenti di liquido rosso, non risulta assente neppure la tipica figura dello spettro femminile dai lunghi e lisci capelli neri che, trascinandosi sul pavimento, sembra uscito direttamente da The grudge di Takashi Shimizu.
Ma, se da un lato la qualità del formato digitale rischia – come spesso accade nelle produzioni a basso costo – di lasciar emergere un certo sapore estetico amatoriale o, al massimo, associabile a quello di una soap opera, dall’altro The wicked gift appare eccessivamente tirato per le lunghe... tanto più che stritolato dalla chiara tendenza a privilegiare l’abbondanza di dialoghi rispetto all’intrattenimento da brivido.