The weather inside
Coinvolta in una piccola partecipazione nel ruolo di se stessa, abbiamo addirittura la Barbara Bouchet starlette di tanta celluloide di genere nostrana partorita tra gli anni Settanta e l’inizio del decennio successivo all’interno del quinto lungometraggio diretto dalla tedesca classe 1963 Isabelle Stever, autrice, tra l’altro, della commedia Bikini beach party (1999).
Lungometraggio che pone la televisiva Maria Furtwängler nei panni di Dorothea Nagel, raccoglitrice di fondi e p.r. per le Nazioni Unite che parte per un paese minacciato dalla guerra civile con lo scopo, appunto, di organizzare una campagna umanitaria. Paese dove, però, il bisogno dei poveri fa da contraltare al lusso e al suo universo decadende; dal cui vortice la donna non tarda ad essere inghiottita, ritrovandosi in un tripudio di vestiti firmati, cocktail super chic, costosi alberghi e, addirittura, l’inizio di una relazione con l’Alec incarnato da Mehmet Sözer, di ventiquattro anni più giovane rispetto a lei. Relazione in cui si tuffa mossa dal proprio gusto avventuriero; man mano che, senza rendersene conto e con esperienze atte a tirare in ballo sostanze stupefacenti pronte a fare la loro apparizione, perde il controllo della situazione rischiando di mettere in pericolo sia il progetto nel quale si è imbarcata che la propria vita.
Perché, con altre più o meno fondamentali figure che fanno la loro entrata in scena e il Jim Broadbent di Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo (2008) incluso nel cast, l’intento della circa ora e cinquanta di visione è quello di fornire un personale sguardo rivolto alle stanze dei potenti e dei ricchi al cui interno si decide “il bello e il cattivo tempo” su chi ha bisogno di aiuto.
Uno sguardo che, culminante con la storica Road to nowhere dei Talking heads riletta da Cherilyn McNeil, in fin dei conti si riduce, però, soltanto a fare da base ad un piuttosto banale viaggio da schermo verso la redenzione.
Viaggio da schermo oltretutto tirato un po’ troppo per le lunghe...