The Rolling stones Olé olé olé: A trip across Latin America

Si apre all’insegna di Sympathy for the devil, per poi tornare a due mesi prima, nell’ultimo giorno delle prove del tour che la intramontabile band dei The Rolling Stones ha affrontato ad inizio 2016 attraverso dieci città latinoamericane, conclusosi con un concerto all’aperto all’Avana.
La Sympathy for the devil che apprendiamo poi essere stata ideata come ballata sullo stile di Bob Dylan, prima di venire tramutata in samba, nato tra gli oppressi e considerato voce del popolo.

Soltanto una delle hit che, tra The last time e It’s only rock’n’roll, accompagnano la oltre ora e quaranta di visione messa in piedi da Paul Dugdale per raccontare sia parte del dietro le quinte di coloro che ci hanno regalato Brown sugar e (I can’t get no) Satisfaction, sia le culture e le usanze di popoli che non potevano assolutamente trasmettere canzoni inglesi durante il periodo della dittatura. Popoli come quello cubano, i cui componenti rischiavano il sequestro delle apparecchiature e l’arresto se sorpresi ad ascoltare musica rock, o come gli argentini, che hanno sviluppato il culto dei Rollingas, sottoculture legate al mito dei mitici quattro, essendo essi censurati nel paese dagli anni Sessanta.  

Man mano che vengono sfoderate esibizioni di Start me up e della splendida Paint it black, non solo apprendiamo il legame tra il chitarrista Ron Wood e la pittura, ma anche il fatto che il batterista Charlie Watts si senta fuori dallo show business.
Mentre la macchina da presa non manca neppure d’intrufolarsi nella camera d’albergo di Keith Richards, sempre fornito d’ironia come pure lo storico socio Mick Jagger; insieme al quale, oltre a raccontare l’episodio di una grottesca disavventura con uno sciacquone all’interno di un ranch, osserva che litigano spesso, ma anche che sono consapevoli che l’essersi conosciuti rappresenti per loro un dono straordinario.

Un quartetto che sente l’essere esploratori in ognuno dei suoi elementi, convinti che nessuno veda il mondo come loro e che uno dei segreti per avere una lunga vita risieda nella possibilità di imparare sempre a scoprire cose nuove.
Un quartetto che è la concreta testimonianza del fatto che si crea movimento intorno a qualcosa quando la si mette al bando e che, in mezzo ad un campionario sonoro comprendente Street fighting man, Wild horses e Jumpin’ Jack Flash, ci mette anche al corrente della maniera in cui ha avuto origine Honky tonk women.

Al servizio di un veloce e godibilissimo elaborato che, senza dimenticare neppure di porre in evidenza l’importanza di cui gode in Messico uno strumento come la chitarra, si rivela non poco interessante sia perché documento filmico atto a ripercorrere l’itinerario di un lungo cambiamento nella storia centro-sudamericana, sia inteso in qualità di celebrazione da grande schermo (e in grande stile) del gruppo musicale più longevo di sempre.