The Lodge, ovvero l'arte del colpo di scena
Dopo il successo di Goodnight Mommy, i due registi austriaci, zia e nipote, rispettivamente Veronika Franz e Severin Fiala ci riprovano, portando sul grande schermo The Lodge, un horror destabilizzante con un nuovo trio, composto questa volta da figli e futura matrigna, che si ritrova all'interno di una grande casa, isolata naturalmente, e circondata da un fitto bosco imbiancato.
Sembra non esserci scampo per il povero Jaeden Martell, meglio noto come Jaeden Lieberher, che dopo IT e dopo il drammatico Il libro di Henry, torna a rivestire un ruolo senza ombra dubbio inquietante, accompagnato dalla piccola Lia McHugh, da Richard Armitage, dalla giovane Riley Keough, vista in Magic Mike e, seppure solo all'inizio, da Alicia Silverstone.
Se l'impianto può risultare inizialmente già testato – due bambini e una giovane donna in una casa isolata dove si manifestano oscure presenze -, lo svolgimento vira ben presto sulla rappresentazione del trauma psicologico, quello subito da Grace durante la sua infanzia, quando faceva parte di una setta religiosa capeggiata dal suo stesso padre il quale, inneggiando al pentimento, guidò gli adepti verso un suicidio di massa da cui lei sola si salvò.
L'episodio, ispirato da fatti realmente accaduti (i tragici eventi della setta ufologica americana Heaven's Gate), è alla base dell'intera vicenda e i suoi drammatici strascichi si riflettono sulla ragazza, nel momento in cui si ritrova in una vecchia casa con immagini religiose – una copia dell'Annunciata di Palermo di Antonello da Messina in primis - dislocate in tutte le stanze e soprattutto vengono a mancarle le medicine che mantengono stabili la sua mente e i suoi nervi.
Scritto dai registi insieme all'italo-scozzese Sergio Casci, il film vanta un aspetto visivo davvero interessante perché sembra omaggiare la perfetta simmetria di kubrickiana memoria, vista principalmente in Shining, del quale il cagnolino Grady sembra sia un'ulteriore reminiscenza.
La macchina da presa si sofferma infatti ripetutamente su porte, finestre, ambienti in genere, sia interni che esterni, collocandosi in modo da risultare perfettamente centrata e dando quindi, in più occasioni, un forte senso di claustrofobia. Non a caso, la vicenda si alterna tra due ambienti, quello reale della baita di montagna e quello della grande casa per le bambole con cui giocano Mia e suo fratello e nei cui meandri sembrano ripresentarsi gli stessi personaggi e gli stessi eventi.
Se la prima parte si sofferma sull'evoluzione della convivenza tra la protagonista e i ragazzi, in una location claustrofobica e senza via d'uscita – qui, a differenza dell'Overlook Hotel non c'è neanche il gatto delle nevi con cui fuggire - la seconda scivola inesorabilmente verso il finale, inaspettato e assolutamente valido, che colpisce lo spettatore con la sua ultima, letale stoccata.
Inutile dire che l'angoscia regna sovrana e che l'intero film è ammantato di un'aura non tanto sovrannaturale - mancano inutili presenze di questo tipo - quanto di instabilità psicologica, con il dolore e la rabbia dei ragazzi per il suicidio della loro madre che si mescola al trauma subito da Grace quando era appena dodicenne.
La musica grave accompagna le immagini fin dalla prima inquadratura mentre i campi vuoti, che la splendida fotografia ha reso simili a dipinti espressionisti, pervadono il film in attesa di essere riempiti dalle sensazioni di cui il genere si fa portavoce.
Su tutto, l'orrore di quella religione spinta all'eccesso, alla mortificazione e all'annullamento della persona, quella che tramite il cosiddetto lavaggio del cervello, muove i suoi adepti come marionette, innescando processi psicologici malati, deviati e autodistruttivi. Non solo. Perché in The Lodge il confine tra vittima e carnefice è labile in quanto "siamo tutti peccatori".
Perturbante, ambientato nella location da film horror per antonomasia e imperniato sull'utilizzo strategico e assolutamente destabilizzante dei colpi di scena. Per gli amanti del genere, pochi difettucci a parte, un film da vedere assolutamente...con qualcuno di fidato al proprio fianco.