The End of the Tour - Un Viaggio con David Foster Wallace
Nel 1996, con Infinite Jest, opera di oltre 1000 pagine, David Foster Wallace entrò definitivamente nel Gotha della narrativa postmoderna americana. A distanza di otto anni dal suo suicidio, James Ponsoldt, senza cadere nell’errore di trasformare il mondo letterario dello scrittore in immagini, crea un film originale, delicato e profondamente toccante.
David Lipsky (Jesse Eisenberg), collaboratore della rivista “Rolling Stone”, per portare a termine una lunga intervista a Foster Wallace (Jason Segel), trascorse cinque giorni con lui: The End of The Tour è il racconto antiretorico e commovente di quell’incontro.
La storia, focalizzandosi esclusivamente sui due protagonisti, potrebbe sembrare didascalica e noiosa: un campo... minato dall’ordigno della noia. Ma, grazie a Ponsoldt, che come un instancabile ricamatore tesse una narrazione solida e avvincente, l’attenzione del pubblico, nonostante gli inesauribili dialoghi, resta alta fino alla fine della proiezione.
The End of The Tour è una partita a tennis verbale, mai verbosa, tra due scrittori coetanei fortemente diversi l’uno dall’altro, e la bravura del regista americano nel disegnare perfettamente i loro tratti caratteriali è l’elemento vincente per l’ottima riuscita del film. Wallace è ritratto come un genio creativo, sgraziato, timido, spaventato dal successo e dalla solitudine ma, innanzitutto, fragile come un bicchiere di cristallo. Lipsky appare invece come un giornalista invidioso, un uomo ordinario alla ricerca di una storia che potrà renderlo celebre: una gara tra intelletti con finalità del tutto opposte.
Durante la messa in scena della loro breve e strana convivenza, lo spettatore non potrà evitare di innamorarsi del carisma oratorio del romanziere, dei suoi pensieri filosofici e del suo essere per molti versi ancora un bambino impaurito. Ponsoldt tratteggia con audacia l’annuncio di un’autodistruzione, quella di Wallace, e lo fa velatamente, con sottigliezza, cospargendo di perle d'intelligenza dialettica una sceneggiatura già di per sé bellissima. Questo “paso doble” racconta però anche altro, esprime la difficoltà di vivere al giorno d’oggi e il complesso rapporto con la fama. Esso descrive soprattutto la necessità di rimanere connessi con il mondo ma, nel contempo, mantenere la giusta distanza dal continuo bombardamento di informazioni: unica via possibile, questa, per ritrovare ciò che di più vero e fondamentale è nelle nostre vite.
Tanto Jason Segel quanto Jesse Eisenberg riescono a rendere i loro personaggi estremamente reali: l’uno riproducendo nei gesti, nelle parole e negli sguardi, l’abisso interiore del futuro suicida, l’altro rappresentando abilmente la mediocrità di Lipsky, nonché la sua gelosia e nascosta ammirazione nei confronti di Wallace.
Per apprezzare The End of The Tour non importa conoscere gli scritti della rock star della letteratura americana, perché vedere, e ancor meglio ascoltare Jason Segel/David Foster Wallace, è un’esperienza entusiasmante, un’occasione di cui approfittare: una chance che spingerà in libreria gli spettatori ignari della sua breve e travagliata esistenza.