The Eichmann Show - Il Processo del Secolo

Milioni di spettri senz’anima si sono aggirati nella Germania post nazista e non solo, fantasmi ai quali era stato negato ogni diritto, addirittura quello di raccontare gli orrori subiti. Perfino in Israele, dove molti sopravvissuti si erano rifugiati, le loro parole suscitavano incredulità. E non bastò neppure il processo di Norimberga per far conoscere al mondo la verità sull’Olocausto, perché le 40 ore di pellicola girate durante le sue udienze non furono mandate in onda da nessun canale televisivo. Ma, nel 1961, a risvegliare le coscienze di intere nazioni ci pensò il produttore televisivo Milton Fruchtman (Martin Freeman) che, assieme al regista Leo Hurwitz (Anthony LaPaglia), si occupò delle riprese di quello che fu nominato “il processo del secolo”: il processo Eichmann.

L’icona del male nazista, colui che organizzava i convogli ferroviari diretti ad Auschwitz, l’ufficiale delle SS Adolf Eichmann, fu sequestrato a Buenos Aires dal Mossad e condotto segretamente a Gerusalemme per essere lì giudicato dopo un dibattito che, rafforzato ancor più dall’indiscussa potenza delle immagini, si trasformò in un evento mondiale. The Eichmann Show - Il Processo del Secolo, di Paul Andrew Williams, è incentrato su quelle persone che, nonostante i molti impedimenti, riuscirono a riprendere con le telecamere l’intero dibattimento per poi trasmetterlo in 37 Paesi. Un notevole pregio del film è certamente quello di dimostrare quanto il mezzo televisivo fosse il nuovo micidiale strumento di indagine sulla verità: un omaggio al potere universale dei mass media quali custodi della memoria storica.       

Il regista inglese, gestendo con notevole fluidità sia il materiale documentaristico che le fotografie d’archivio, ottiene che la messa in scena, seppur di taglio da piccolo schermo, risulti ottimamente riuscita. La bravura di Anthony LaPaglia, che con i suoi sguardi profondi e carismatici e il suo linguaggio gestuale crea con il pubblico un’immediata empatia,  è fortemente coadiuvata dalla perfetta chimica che nasce con il suo valido collega Martin Freeman.

Gli aspetti più interessanti del film sono comunque rappresentati dalla profonda analisi dei due personaggi principali, e dai diversi modi di affrontare un programma televisivo. Williams, infatti, mentre da un lato raffigura il produttore come qualcuno alla continua ricerca dell’audience, dall’altro mostra il regista che prova ad addentrarsi nella psiche umana senza indugiare sulla superficie. Leo Hurwitz non vuole soffermarsi, come ordinatogli da Fruchtman, sugli spettrali lineamenti degli ex deportati e sulle loro raccapriccianti testimonianze, ma, al contrario, fissa l’occhio della camera da presa sul viso di Eichman: un volto che non accenna a una pur minima espressione di umanità. Qui Williams varca i confini di un territorio molto complesso, e sembra quasi chiedere allo spettatore: ma il male, è davvero così banale come affermò Hannah Arendt?  

Signori, io non credo ai mostri… però sono convinto che gli uomini siano responsabili di azioni mostruose. Cos’è che ha trasformato quest’uomo comune in una persona capace di mandare centinaia di bambini alla morte e poi tornare a casa tutte le sere e dare il bacio della buona notte ai suoi figli? Un essere umano come tutti noi. Leo Hurwitz, The Eichmann Show - Il Processo del Secolo.