The dark and the wicked: un horror per affrontare il tema della morte al TFF38
A distanza di 4 anni dall'apprezzato The Monster, torna dietro la macchina da presa Bryan Bertino, uno dei cineasti horror da tenere d'occhio. Il suo è un cinema fatto di atmosfera, suggestioni, psicologia. Il nuovo lavoro – da lui scritto, diretto e prodotto – si intitola The dark and the wicked ed è stato inserito nella sezione “Le stanze di Rol” del 38esimo Torino Film Festival. Louise (Marin Ireland) e Michael (Michael Abbott Jr.) sono due fratelli che tornano nella fattoria di famiglia per vegliare sul padre morente. Ma nel corso della loro permanenza lì, strani avvenimenti e oscure presenze li porteranno a un passo dalla follia.
Visivamente la pellicola possiede tutte le caratteristiche per essere un ottimo horror. Giocando con la semioscurità degli ambienti, le ombre proiettate da fasci di luce, i rumori più sinistri e comuni, riesce a solleticare quelle paure profondamente radicate nell'essere umano. La discesa verso l'insanità è però graduale, scandagliata attraverso i sette giorni della settimana – che rappresentano il periodo trascorso dai fratelli nella fattoria. Dal lunedì alla domenica aumentano le apparizioni, e aumenta la loro forza d'azione, conducendo chi ne è vittima su un pericoloso precipizio.
Il confine tra incubo e realtà si affievolisce. La morte è sempre più vicina. Ecco allora come il film compie un balzo in avanti, utilizzando il genere horror per testimoniare l'atavica paura dell'uomo nei confronti della fine. Il padre dei protagonisti sta per esalare il suo ultimo respiro, mentre i figli lottano contro espressioni del male che tentano di carpirli e trascinarli a fondo. Ma in realtà è tutto collegato.
The dark and the wicked è un'opera pensata e realizzata con mestiere. Non un prodotto alla ricerca del grande effetto, sebbene in più di un'occasione non manchi di far saltare sulla poltrona. A differenza di alcuni precedenti, è difficile prevedere il momento in cui qualcosa sta per succedere, e prevenirne così le conseguenze. La musica è ridotta all'osso, non dando in tal modo alcun appiglio allo spettatore per essere preparato. Un horror, forse paradossalmente, intimo e riflessivo, che forza il confronto con il tema della morte.
A ciò si aggiunge quello della fede: Michael e Louise non ne hanno, ma i loro genitori sì. Se esiste un'entità divina da qualche parte nell'universo sembra però aver abbandonato la casa di famiglia. Persino il prete che la frequenta ha i tratti di uno spirito maligno. Ma quello che conta, stando anche alle parole di un'infermiera che non ha mai abbandonato il letto del malato, è l'amore. Solo questo sentimento può infatti permettere l'allontanamento del male. Non esiste evento più grave e deprecabile di un'anima lasciata da sola a morire. Ed è esattamente così che, nel momento in cui i due fratelli si separano, affrontando uno stato di inevitabile solitudine, perdono la loro forza. Insieme all'unica possibilità che hanno di sconfiggere la paura e sopravviverle.
Un plauso va anche ai due bravissimi interpreti: la Ireland (The Irishman, The Umbrella Academy) e Abbott Jr. (Loving, Mud) sono incarnazioni viventi e vibranti di una donna e un uomo le cui ferite del passato non si sono mai davvero rimarginate, ma che provano fino alla fine a lasciarsele indietro.