The conjuring – il caso Enfield

Se già L’evocazione – The conjuring aveva lasciato intuire nel 2013 chiare influenze provenienti dal classico delle dimore maledette Amityville horror di Stuart Rosenberg, questa continuazione per mano dello stesso regista James Wan – arrivata, però, solamente dopo il prequel Annabelle di John R. Leonetti – ne evidenzia ancora di più il legame attraverso un incipit ambientato proprio nella località nota per essere la sede della casa infestata più famosa d’America e richiamante in maniera evidente alla memoria Amityville possession di Damiano Damiani.

Perché pare che, dopo aver combattuto all’inizio degli anni Settanta la presenza maligna che infestava la fattoria isolata di Harrisville vista nel lungometraggio precedente, i coniugi investigatori del paranormale Lorraine ed Ed Warren si siano occupati anche di quel chiacchieratissimo caso che finì per generare una vera e propria saga cinematografica; prima ancora di ritrovarsi nella seconda metà del decennio a Londra, destinati ad affrontare un’entità demoniaca insediatasi nell’abitazione della famiglia Hodgson, nel popolare quartiere di Enfield.

È infatti la mitica London calling dei Clash ad accompagnare i titoli di testa della nuova vicenda che vede Vera Farmiga e Patrick Wilson ancora nei panni dei due protagonisti, ora impegnati ad aiutare la madre single Peggy alias Frances O’Connor e i suoi quattro figli Janet, Margaret, Billy e Johnny, rispettivamente interpretati dalla Madison Wolfe de L’ultima parola – La vera storia di Dalton Trumbo e dagli esordienti Lauren Esposito, Benjamin Haigh e Patrick McAuley.

Vicenda che, a differenza del capostipite e di molte altre produzioni dalla tematica analoga, non tende a costruirsi su lenti ritmi di narrazione finalizzati a generare attesa nei confronti della parte maggiormente riservata all’horror, ma provvede a tempestarsi fin da subito di inquietanti situazioni.
Situazioni tra le quali è impossibile non citare quella magistralmente tesa in cui abbiamo il bambino alle prese con il camion dei pompieri giocattolo o il momento decisamente kruegeriano che arriva a tirare in ballo lo spaventoso Uomo storto dello Zootropio.

Situazioni che – come già avvenuto nel primo film – lasciano tranquillamente emergere il sapore delle belle pellicole dell’orrore appartenenti alla vecchia scuola, man mano che immancabili apparizioni improvvise, porte che si aprono da sole ed il coinvolgimento della figura di una tutt’altro che raccomandabile suora provvedono ad arricchire ulteriormente il comparto pauroso.

Confermando una volta per tutte l’autore di Saw – L’enigmista e Insidious quale miglior cineasta d’inizio XXI secolo dedito al genere caro a Dracula e Jason Voorhees... sebbene l’eccessiva lunghezza dell’insieme (oltre due ore e dieci minuti di durata) e la sua tendenza a rimanere nei binari ordinari del filone senza regalare nulla di particolarmente originale contribuiscano a spingerci a pensare che, forse, abbiamo davanti agli occhi un buon secondo capitolo che si limita, però, soltanto ad illuderci in più occasioni di essere superiore rispetto al suo predecessore.