The broken key: futuro Nero
Se le futuristiche scenografie che rappresentano gli esterni non possono fare a meno, in alcuni casi, di ricordare quelle del super classico della fantascienza Blade runner (1982) di Ridley Scott, da cui proviene il Rutger Hauer qui calato nei panni del professor Moonlight, la tipologia di trama thriller al centro della vicenda appare facilmente accostabile a quelle che hanno caratterizzato la trilogia di Ron Howard derivata dai romanzi di Dan Brown. Trilogia il cui secondo tassello, Angeli e demoni (2009), incluse tra gli attori anche il Marc Fiorini che ricopre il ruolo di Nicholas Machiavelli in The broken key, ambientato in un pianeta Terra controllato dalla “Grande Z”, ovvero la Zimurgh Corporation, e dove la “Legge Schuster” sull’eco-sostenibilità dei supporti regna sovrana. Pianeta Terra in cui non solo la carta è un bene raro e stampare è un reato, ma dove il destino dell’intera umanità sembra essere nelle mani del ricercatore inglese Arthur J. Adams alias Andrea Cocco, intento a trovare il frammento mancante di un antico papiro protetto dalla misteriosa confraternita dei seguaci di Horus.
L’Arthur il cui nome vuole essere un dichiarato omaggio a Re Artù, in quanto, come ben sa chi conosce la filmografia del torinese Louis Nero, non sono certo colti riferimenti a risultare assenti, tanto che il regista stesso precisa la sua intenzione di: “Realizzare un film concepito sulla linea orizzontale delle Sette Arti Liberali, la cui pratica ascetica – secondo la fulgida interpretazione dantesca – può portare alla trasmutazione dei Sette Peccati Capitali nelle corrispondenti Virtù Cardinali. L’intento è quello di far vivere al pubblico, come al protagonista, un percorso di purificazione spirituale dai peccati, ambientato in una visionaria Torino del futuro, dove la cultura popolare è intrisa di palpabile mistero. Dove la trama si muove tra leggende che aspettano da secoli di essere ripercorse”.
E, mentre il ricco cast internazionale comprende, oltre all’immancabile Franco Nero, William Baldwin, l’ex Sandokan dello schermo Kabir Bedi, Geraldine Chaplin, Christopher Lambert e i tarantiniani Maria De Medeiros e Michael Madsen, va sicuramente apprezzato lo sforzo di portare qualcosa di scenograficamente e visivamente fantasioso all’interno di una cinematografia tricolore sempre più ancorata alla realtà dei drammi sociali e della commedia; ma i difetti non mancano affatto. Perché non solo un non esaltante doppiaggio finisce per penalizzare ulteriormente prove recitative che lasciano spesso a desiderare, ma la curata colonna sonora a firma di Lamberto Curtoni è talmente onnipresente da rivelarsi eccessivamente invadente.
Aspetti che rischiano non poco di conferire un tono grottesco ad un’operazione che non manca oltretutto di dispensare noia allo spettatore, già travolto dalla difficile comprensione della complessa e non banale entità dei suoi contenuti.