The Beatles – Eight days a week

Dall’esibizione presso l’ABC Cinema di Manchester, nel 1963, all’ultima, mitica, improvvisata sei anni più tardi in cima al tetto dell’edificio londinese che ospitava il loro ufficio, al civico 3 di Savile Row, la storia di come John Lennon, George Harrison, Paul McCartney e Ringo Starr si sono uniti diventando l’indimenticabile band dei Beatles.

Quel 1963 che, turbato sia dai test nucleari che dall’omicidio del presidente John Fitzgerald Kennedy, rappresentò anche l’anno di uscita del loro album With the Beatles, dal quale provengono, tra le altre, le All my loving e Roll over Beethoven incluse nella ricca colonna sonora di questo agglomerato di filmati rari e inediti concretizzato dal vincitore del premio Oscar Ron Howard. Agglomerato dopo il cui termine sono posti trenta minuti esclusivi della performance dei Fab Four allo Shea Stadium nel 1965, in quello che fu il primo concerto rock di fronte a più di cinquantacinquemila persone, e ai quali si giunge soltanto dopo aver ascoltato l’esauriente racconto effettuato da illustri intervistati spazianti dal giornalista Larry Kane agli stessi Starr e McCartney. Quest’ultimo, tra l’altro, impegnato in maniera a suo modo commovente a ricordare che un fatto che lo unì molto all’inseparabile John fu la morte delle rispettive madri quando erano giovanissimi, tanto che scrivere canzoni si rivelò per entrambi un modo in cui consolarsi.

Ma, tra una She loves you e una Can’t buy me love, non mancano neppure testimonianze delle attrici Sigourney Weaver e Whoopy Goldberg, come pure del musicista Elvis Costello e del Richard Lester che diresse coloro che molti credevano sarebbero stati solo una meteora prima nel lungometraggio in bianco e nero A hard day’s night, poi in quello a colori Help!. Coloro che, inizialmente, suonavano nei locali di Liverpool abbigliati in maniera piuttosto sciatta e che qualcuno, in America, definiva come risposta britannica ad Elvis Presley, capaci di piacere al pubblico perché erano sfacciati ma non aggressivi. Coloro di cui seguiamo anche il periodo “nero” del ritiro dai tour e successivo ai non più eccitanti anni del debutto, tra inasprimento della guerra in Vietnam e, ovviamente, sessioni di registrazione del pezzo che presta il titolo all’intera operazione.

Senza dimenticare Rubber soul, lp che – modello d’ispirazione per Pet sounds dei Beach boys – segnò l’inizio dell’orientamento verso nuovi orizzonti in note sempre più lontani dal beat... al servizio di un gustoso oggetto del desiderio imperdibile, di sicuro, per i fan irriducibili degli “scarafaggi”, ma, allo stesso tempo, in grado di conquistare – a suon di I want to hold your hand e Dissy Miss Lizzy – anche tutti gli altri spettatori, ulteriormente impreziosito dal ritmo serrato che lo scandisce.