The Assassin

Da allora, Yinniang dimora nella foresta. Come una fenice.

La Miglior Regia del Festival di Cannes 2015 è giunta finalmente nelle sale italiane grazie alla lungimiranza di Movies Inspired...ed è un diamante!

Il regista di Taiwan Hou Hsiao-Hsien ha fatto un lavoro incredibile che fa pensare alla visione ispirata di un Akira Kurosawa donna. The Assassin è, infatti, allo stesso tempo, sontuoso ed essenziale, connotato da paesaggi fiabeschi ed un lavoro di camera pregevole che impedisce allo spettatore di staccare gli occhi dallo schermo, nonostante l’immane lentezza glaciale tipica di un certo cinema asiatico di genere storico.

Trattasi, infatti, della trasposizione cinematografica (un lavoro lungo e complesso dal punto di vista produttivo) della storia (romantica e tormentata) della “divenuta assassina suo malgrado” Nie Yinniang, bellissima e letale guerriera vissuta in Cina nel IX Secolo che deve compiere una vendetta perpetuata dal suo maestro, una monaca che l’ha cresciuta da quando aveva dieci anni.

Candidato agli Oscar come Miglior Film Straniero per Taiwan, si tratta di una coproduzione Taiwan-Cina-Hong Kong che rispetta tutti i canoni del genere e ci regala un’iconografia talmente meticolosa e perfetta da farci sentire parte della corte e dei suoi dignitari. Non stupisce che la giuria di Cannes 2015 gli abbia tributato l’ambito riconoscimento!

Spiazzano quasi, le parole del regista riferite ai problemi di budget ed alla maestosità delle location (il film è stato girato in Cina, nella provincia di Hubei e nel Nord-Est ma anche nelle regioni interne della Mongolia). È proprio lui, infatti, a rivelarci di essersi sentito letteralmente spazzato via dalla bellezza delle foreste e dei laghi: “Era come essere trasportati in un dipinto cinese classico. [...]"Non ho girato un film in 6-7 anni. È veramente un nuovo mondo per me perché il mercato, oggi, è così grande a causa della Cina. Anche la scala è, quindi, aumentata e ciò rende ogni dettaglio differente. Debbo, quindi, adattarmi anch’io”.

Sembrerebbero i timori, le parole di un novellino ma dopo 10’ di visione, vi rendete conto che si tratta soltanto di perfezionismo. La regia è ferrea e godibilissima, nonostante l’enorme distanza geografica, culturale e temporale che ci separa dalle vicende narrate.

Menzione speciale per la divina Shu Qi e per il suo mancato sposo, il figlio d’arte Chang Chen che ci regalano la scena di combattimento notturno più romantica degli ultimi trent’anni.

Una visione semplicemente imperdibile.