Tartarughe ninja – Fuori dall’ombra

Con annessa anche una gag infarcita di fetta di pizza che cade su un campo di basket mentre è in pieno svolgimento un match, apre all’insegna del movimento la continuazione del Tartarughe ninja che, diretto dal Jonathan Liebesman autore dell’ottimo Non aprite quella porta – L’inizio e del pessimo World invasion, ha provveduto nel 2014 a riportare sul grande schermo il poker di testuggini esperte di arti marziali create trent’anni prima da Peter Laird e Kevin Eastman e guidate dal maestro ratto Splinter, già oggetto di tre trasposizioni live action nella prima metà degli anni Novanta e di una completamente concepita in CGI nel 2007.

Trasposizioni live action di cui il nuovo arrivato dietro la macchina da presa Dave Green sembra in un certo senso condensare le idee che furono al centro dei primi due tasselli; in quanto da un lato rispolvera il vigilante con maschera e mazza da hockey Casey Jones che, ora incarnato dallo Stephen Amell della serie televisiva Arrow, ebbe i connotati di Elias Koteas fin dal capostipite Tartarughe ninja alla riscossa di Steve Barron, dall’altro, invece, sfrutta un plot facilmente accostabile a quello su cui venne costruito Tartarughe ninja II – Il segreto di Ooze di Michael Pressman.

Del resto, se in quel caso tornava all’attacco l’acerrimo avversario Shredder per generare due animaleschi guerrieri mutanti tramite l’utilizzo di uno scarto tossico che avrebbe anche potuto consentire ai quattro protagonisti di diventare esseri umani, qui, con le fattezze di Brian Tee, effettua un’operazione analoga dopo essere riuscito ad evadere dal convoglio che lo sta trasportando in un’altra prigione ed aver somministrato a due criminali un mutageno che li trasforma in un facocero e un rinoceronte.

Mutageno fornitogli dal mostruoso signore della guerra alieno Krang, il quale si aspetta da lui il ritrovamento dei tre componenti di una macchina che inviò sulla Terra in epoche passate e che permetterebbero di aprire un varco tra la sua dimensione e quella dei comuni mortali; mentre, impegnati anche a fronteggiare la nuova coppia di creature, Leonardo, Donatello, Michelangelo e Raffaello dibattono ancora sull’evolversi dal loro status di rettili su due piedi all’ombra della società, accentuando la maniera intelligente in cui il sottotesto antirazzista relativo al fatto che la gente teme ciò che non comprende viene inserito tra un frenetico momento accompagnato da A little less conversation di Elvis Presley ed il lungo scontro conclusivo pullulante effetti visivi.

Perché, man mano che ritroviamo in scena anche la sexy Megan Fox nei panni della reporter April O’Neil, non è certo la spettacolarità a risultare assente nel corso della velocissima e coinvolgente oltre ora e cinquanta di visione che, ulteriormente impreziosita da una sequenza ad alta quota e dalla già citata evasione shredderiana tempestata di veicoli distrutti e motociclisti con casco nero che sembrano usciti direttamente dagli action movie di almeno vent’anni addietro, riesce nell’impresa di non apparire fracassona nonostante il notevole dispendio di sonoro ad alti livelli.
Tanto che, con immancabile ironia ad infarcire il tutto, non è difficile preferirla al precedente episodio, maldestramente orchestrato tra una soporifera prima parte ed una eccessivamente caotica seconda.