Tapirulàn, l'esordio alla regia di Claudia Gerini

Davvero una bella sorpresa l'esordio alla regia di Claudia Gerini che, dopo tanti anni di carriera da attrice, ha deciso di passare dietro la macchina da presa per realizzare il suo primo lungometraggio.

Interessante, accattivante e al tempo stesso anche angosciante, Tapirulàn è un film low budget che fa leva su tematiche quanto mai attuali: dal famigerato smart working, telelavoro o lavoro da casa che dir si voglia, fino all'omosessualità, alla violenza domestica e all'elaborazione del lutto, questi aspetti della quotidianità sono trattati con estrema delicatezza e sensibilità.

Emma infatti, la protagonista interpretata dalla stessa Claudia Gerini, è una counselor che lavora da casa offrendo consulenze psicologiche ad una serie di clienti - non pazienti, come ci tiene a sottolineare il suo responsabile, interpretato da Fabio Morici che è anche uno degli sceneggiatori - di diverse età e con svariate problematiche personali.

La particolarità di Emma è il suo correre incessantemente sul tapis roulant dal quale osserva la vita che scorre all'esterno del suo palazzo, tra il piccolo parco giochi, il parcheggio e la strada trafficata. Correre la fa pensare meglio, la fa riflettere in maniera più approfondita, le libera la mente. Per i suoi clienti non è un problema perché Emma è brava, è convincente, li capisce, entra in contatto con loro.

Ma la chiusura forzata a causa della pandemia non è certo un bene per chi, come la stessa Emma, ha degli scheletri che strepitano per uscire dall'armadio e ben presto, complici l'inaspettata amicizia che nasce con uno dei suoi clienti e la ricomparsa della sorellastra, dovrà fronteggiarli.

Il budget limitato e la mono location sono aspetti che non si avvertono minimamente perché il film, con il suo intreccio ed i suoi personaggi finemente delineati, conquista fin dalla prima inquadratura: l'attrice e regista, che sembra abbia corso nettamente più di Tom Hanks in Forrest Gump, ha fatto un lavoro improbo, concentrando le riprese in sole quattro settimane, di cui le prime tre affrontate da sola, di fronte al green screen. Un'impresa non da poco, se pensate che si tratta di un'opera prima. Inoltre, la passione e l'impegno che ha dedicato al suo progetto sono percettibili non soltanto grazie all'ottima performance e alla accurata orchestrazione del tutto: la Gerini infatti, complice la mancanza di tempo, si è fidata del suo istinto e, senza perdere ore preziose dietro al monitor o ripetendo più volte i ciak, ha visto il girato per la prima volta solo in sala montaggio. Il risultato è una bellissima storia di crescita personale, in cui la protagonista prende poco a poco coscienza di sé e del doloroso passato che aveva inutilmente provato a rimuovere.

Emma infatti non ha più contatti con la sua famiglia da anni ma una mattina riceve una chiamata della sorellastra: il padre è malato di leucemia e lei, se compatibile, potrebbe essere una donatrice di midollo. Solo che Emma, di suo padre, non vuole minimamente sentir parlare.

E i primissimi piani dei piedi che corrono veloci sul tapis roulant e del suo viso serio e pensoso, talvolta riflesso nella grande vetrata, sembrano accentuarne il tormento interiore.

Ad aiutarla a far luce sul suo passato, a non vederlo più come una minaccia per la sua serenità, sarà soprattutto Lorenzo – il bravissimo Stefano Pesce -, un padre che ha tentato il suicidio dopo la morte della figlia, dopo un dolore che non ha neanche un nome ma che, come dice Emma, nonostante non passi mai, si può provare a trasformare.

Oltre a lui c'è Gianni, interpretato da Alessandro Bisegna, un ragazzo che viene pian piano a patti con la sua omosessualità, e c'è Davide, Niccolò Ferrero, che dopo un incidente non riesce più a dormire, preda di continui attacchi di panico; ci sono Fabio, cui dà il volto Maurizio Lombardi, un maniaco ossessivo compulsivo, e Anna, la bella Daniela Virgilio, convinta che gli accessi di rabbia del marito siano solo sporadici e destinati ad esaurirsi; e infine c'è Gaia, interpretata da Lia Grieco, una giovane che non riesce ad accettare il proprio fisico e vorrebbe farsi qualche ritocchino, con la paura, però, di non riconoscersi più.

Ognuno con le proprie fobie, con le proprie insicurezze: Emma li aiuta a superarle ma lei rimane ferma allo stesso punto, come un criceto che corre sulla ruota, senza mai andare avanti. Una metafora calzante, alla base del film: se, infatti, non affrontiamo le nostre difficoltà, non cresciamo, rimaniamo in una situazione di stallo che non fa bene a nessuno, in questo caso, né alla protagonista né, a lungo andare, ai clienti che segue e a cui dà consigli che lei stessa sembra non essere in grado di mettere in atto.

Nonostante in alcuni momenti il ritmo sembri subire una battuta di arresto, seguiamo rapiti l'evoluzione dei personaggi e della protagonista in primis. La conosciamo attraverso le videochiamate che affronta ogni giorno, scopriamo la sua passione per la bioenergetica e per la corsa, capiamo che da tempo non esce di casa né conduce vita sociale che non sia qualche incontro sporadico con il suo amante Max, interpretato da Corrado Fortuna.

E, inquadratura dopo inquadratura, ci affezioniamo a lei: lei che prende su di sé il dolore altrui ma non riesce a superare il proprio, lei che deve empatizzare senza lasciarsi coinvolgere.

Interessante, si diceva, ma ancora di più attuale, Tapirulàn suscita continue riflessioni su aspetti senza tempo come il rapporto con il proprio passato, ma anche su tematiche che purtroppo sono all'ordine del giorno e necessitano una seria presa di coscienza. E inserisce all'interno dei dialoghi una serie di verità imprescindibili che, oggi più che mai, dovremmo tenere bene a mente: una su tutte è senz'altro quella con cui la protagonista cerca di convincere la malcapitata Anna, vittima del marito: "la violenza non ha MAI motivo di essere". 

Il finale, quanto mai catartico, chiude una storia originale, dinamica e appassionante in cui tutti, chi più, chi meno, possiamo riconoscerci.

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