Sulla mia pelle: L’odissea di Stefano Cucchi e l’ordinaria ingiustizia ai danni del più debole
Nel 2009 un caso a dir poco drammatico ed eclatante di cronaca riempiva pagine di quotidiani nostrani e servizi di telegiornale, ovvero il caso del trentunenne romano Stefano Cucchi, arrestato una sera da una pattuglia dei carabinieri per detenzione di droghe e presunto spaccio e tornato ‘a casa’ senza vita dopo una settimana di calvario estremo, morto all'ospedale Sandro Pertini il 22 ottobre 2009 mentre si trovava ancora in custodia cautelare.
In apertura della Sezione Orizzonti del festival di Venezia 2018, basato sulle testimonianze e sulle carte processuali il film (una produzione Cinema 11 e Lucky Red e distribuito da Lucky Red e Netflix) diretto da Alessio Cremonini è un dignitoso prodotto di denuncia che apre uno spiraglio di obiezioni e sana critica a un sistema che, trincerato dietro il mito delle false regole e una burocrazia esasperante, troppo spesso finisce per tutelare gli interessi del più forte a sfavore del più debole. La via crucis che si dipana nei giorni che condurranno alla morte del giovane Stefano Cucchi vengono ripercorsi in Sulla mia pelle del regista Alessio Cremonini mantenendo il fuoco sul dolore e sull’incomprensibilità di una catena di eventi che appaiono per il loro sviluppo quasi kafkiani, raccordati nella folle dinamica che impedirà alla famiglia di rivedere il suo Stefano se non dopo il decesso.
Cremonini affida al bravo Alessandro Borghi, che ha fatto su sé stesso un intenso lavoro e ha perso ben 18 chili per calarsi nella parte di Stefano Cucchi, l’onere di incarnare appieno la condizione dell’outsider societario, del figlio smarrito, del ragazzo tossicodipendente che in quanto tale viene considerato irrecuperabile, non del tutto ‘degno’ delle attenzioni del mondo circostante. Tra le mura sempre più strette del carcere e delle strutture sanitarie e il crescente stato di asfissia di una situazione che appare sin da subito senza via d’uscita, lo stato di estrema sofferenza del ragazzo non verrà infatti quasi mai preso in carico (almeno non del tutto), e tanto le forze dell’ordine quanto le risorse dell’area sanitaria daranno per buona la sua versione della “caduta dalle scale” senza opporre troppa resistenza di fronte all’estrema incredibilità dello stato di cose.
Nel fisico scavato, nel volto sofferente, livido e tumefatto del giovane Cucchi di Borghi Sulla mia pelle si fa portavoce doloroso di quelle ingiustizie clamorose che accadono di fronte ai nostri occhi apparendoci tanto assurde quanto distanti. Eppure, Sulla mia pelle avvicina quella sensazione di disagio, crea una partecipazione coercitiva con il dolore del ragazzo e riesce in parte ad ampliare il raggio di dolore della storia fino all’occhio e al cuore dello spettatore. E se le dinamiche narrative relative alla famiglia e a tutto ciò che non riguarda strettamente l’odissea del ragazzo non sono sempre perfettamente armonizzate, l’opera di Cremonini riesce comunque a centralizzare lo stato del dolore, a rievocare la disarmonia dell’ingiustizia, a gettare una luce su idiosincrasie e discrepanze della nostra società che riesce a muoversi in maniera indifferente e sadica, specie quando si tratta di tutelare i diritti delle minoranze e dei più deboli.