Spider-Man: Homecoming. L'Arrampicamuri torna alle origini
Ci siamo: secondo reboot per il nostro amichevole Uomo Ragno di quartiere che coincide con il lancio del nuovo logo Marvel, con tanto di jingle classico rivisitato, e l’inizio del rush finale di tutta la macchina messa in moto in questi anni che culminerà con i due prossimi Avengers.
Ma torniamo al nostro arrampicamuri. In primis Jon Watts è uno che ha studiato le basi, si percepisce l’amore per il personaggio, il gusto per il classico e, forse anche merito degli sceneggiatori, l’abile ripescaggio dei classici.
La sequenza in cui Spider-Man finisce sotto le macerie è una classica vignetta di Dikto ripresa para para, per non tacere degli omaggi a Raimi, dal traghetto tenuto con le ragnatele allo stesso avvoltoio che ricorda Goblin.
Anche la scelta dell’Avvoltoio è ottima. Un criminale che apparentemente, come anche Shoker, è marginale, ma che nell’universo dell’Uomo Ragno classico è sempre stato una delle nemesi più interessanti, anche per il conflitto generazionale tra i due.
Il lavoro migliore del film è proprio questo, rivisitare personaggi e situazioni classiche attualizzandole sagacemente e poi… aggiungendoci Iron Man, che è come il chili sulle pietanze… aggiunge sapore.
Zia May in versione sexy-Tomei (anche se con orrendi abiti a vita alta molto fashion) resterà negli annali, Michael Keaton villain tecnologico, proprio lui che è stato Batman e Birdman, è fantastico e il duello verbale con Peter da antologia.
Poi c’è il contesto scolastico in puro teenmovie, di sicuro appeal per i più giovani (anche se la necessità, politically correct, di rivisitare tutti i personaggi in nuove versioni è un po’ troppo eccesiva), insomma una miscela vincente.
La storia, molto “a terra” finalmente, è quella di un semplice liceale che si confronta con la voglia di essere di più, di potersi affiancare a quei miti che per pochi attimi ha sfiorato in Civil War, ma che deve fare i conti con la sua età, i suoi limiti, la sua inesperienza e la sua stessa vita da liceale. Si torna a problemi quotidiani, le piccole cotte, la scuola, gli amici e la semplice coordinazione fisica.
Lo stesso Avvoltoio non è un pazzo insensato con un piano diabolico, ma un uomo che vuole mettere la cena a tavola dai suoi cari e che deve fare i conti con la recessione, le multinazionali.. il sistema. Un americano medio della classe operaia che ispira simpatia a suo modo.
La cosa migliore del film? Non stare lì a ripropinare spiegoni e origini, ma andare dritto per la propria strada… divertendo!
E ora aspettiamoci il sequel… io punto sullo Scorpione!