Sole alto

In Sole alto di Dalibor Matanic, la guerra vera e propria è vista di sghembo; mentre in primo piano emergono le conseguenze che ogni conflitto produce. 
L’opera rappresenta una drammatica testimonianza sullo stato di salute di un popolo deflagrato in due fazioni, ognuna delle quali ancora oggi tiene ben aperti gli occhi per osservare le mosse dell’altra. Il regista si pone in modo obliquo rispetto alle vicende narrate, in quanto non si prefigge lo scopo di realizzare un film storico nel vero senso della parola, piuttosto aspira a plasmare l’intonazione sentimentale di una nazione divisa in blocchi contrapposti dove Caino è sempre in lotta contro Caino.

Sebbene Matanic utilizzi gli stessi interpreti per tutti e tre gli episodi, l’autore supera a piè pari le pastoie che questo espediente potrebbe provocare facendo sì, al contrario, che la riflessione metaforica sulla storia di un paese risulti più complessa e simbolica. I volti intensi di Tihana Lazovic e Goran Markovic ritornano in ognuno dei segmenti per esprimere le emozioni di una coppia straziata dagli stessi patimenti di Romeo e Giulietta, calati in una natura selvaggia che vorrebbe essere ancora un comodo rifugio ma non lo è più. Gli stessi personaggi hanno in sé qualcosa di animalesco, che li spinge a cercarsi, fiutarsi reciprocamente e ringhiarsi in una dinamica di accordi e disaccordi. Come nella realtà, i dialoghi rimangono a tratti sospesi, perché le parole vorrebbero spiccare il salto e comunicare un sentimento, ma poi stagnano in silenzi carichi di appetiti e rimorsi.

In Sole alto ci sarebbe da aspettarsi che l’odio passionale dei figli sia stato instillato in loro dai padri. Eppure non è così. Sono gli adulti a mostrarsi più accondiscendenti, a tentare di asciugare le lacrime e andare avanti di fronte all’immane versamento di sangue, laddove invece i giovani lanciano anatemi contro i nemici sulle tombe dei loro cari. Decennio dopo decennio si ha l’impressione che sia molto più facile disprezzare che provare amore verso gli altri: non c’è nessuna linea di confine geografica da identificare, tutto si riduce a varcare una delimitazione dai bordi insignificanti che viene eretta da un giorno all’altro anche all’interno del più piccolo e insignificante dei villaggi. Chi non si accontenta dell’illusione di una frontiera innalzata su una rete di filo spinato, può avvertire l’intolleranza sotto forma verbale in quel stanco contrapporsi di “noi” e “quelli là”.

Grazie alla casa di distribuzione indipendente Tucker Film, il pubblico italiano potrà scoprire un piccolo gioiello che trova nella libertà e nel sogno di una fratellanza tra uomini la sua stessa ragion d’essere.