Socialmente pericolosi

Quello non lo ho ammazzato io, ma non mi lamento, le mie cose le ho fatte...”, con queste parole ha inizio l’amicizia tra il giornalista Fabio Valente e il boss della camorra Mario Spadoni. Siamo nel carcere di Sulmona, tristemente noto come “la prigione dei suicidi”, ed è in una squallida stanza del reparto di massima sicurezza di quel grigio casermone che avviene l’incontro tra il reporter e l’ergastolano: un incontro che cambierà l’esistenza di molte persone.

Tratto da una storia vera, il film narra un fatto che meritava di essere conosciuto, e a ciò ha pensato Fabio Venditti, inviato Rai fino al 2003 e caporedattore Mediaset fino al 2013, che in Socialmente pericolosi, con sguardo lucido ma mai distaccato, mette in scena uno straordinario episodio della propria vita. Venditti conobbe Savio - per la cronaca Maritiello o' Bellillo, re dei Quartieri Spagnoli - in occasione dell’intervista che il reporter realizzò per una trasmissione televisiva. L’empatia tra i due uomini fu quasi immediata, tanto che decisero di scrivere insieme il libro La Mala Vita. Lettera di un boss della camorra al figlio, poi pubblicato dalla Mondadori nel 2006. La gestazione del romanzo durò otto mesi, e in quel periodo trascorso insieme il loro rapporto divenne così saldo che quando Mario Savio, gravemente ammalato, dovette lasciare il carcere per farsi curare, Venditti lo accolse in casa provocando non pochi problemi all’interno della sua famiglia.

Socialmente pericolosi, seguendo un doppio filo narrativo, racconta però anche altro. Sì, perché il regista, oltre a mettersi a nudo nel mostrare come abbia potuto affezionarsi a un membro della malavita, narra anche le vicende di un gruppo di ragazzi napoletani, avvicinati grazie alla sua amicizia con il ‘boss’: ragazzi esclusi da ogni possibilità di riscatto che, da lui convinti a partecipare a un suo progetto culturale, cominceranno a esplorare nuove realtà fino a trasformarsi in protagonisti e coautori di due documentari. Il perfetto equilibrio creato dalla fusione di differenti linguaggi cinematografici - finzione degli attori, e realtà del materiale girato dai giovani partenopei -, l’ottima fotografia, il ritmo serrato e la bravura di Fortunato Cerlino, anche se nelle vesti di Mario Savio sembri essere il ‘replicante’ del Pietro Savastano di Gomorra, sono tutti elementi che contribuiscono alla buona riuscita del film. Il resto del cast, capitanato da Vinicio Marchioni, purtroppo non sempre convince, ma, pur rimanendo forte l’idea di assistere a un prodotto più televisivo che cinematografico, l’operazione appare nell'insieme più che soddisfacente. E' inoltre importante sottolineare che tutte le parti della sceneggiatura ambientate nei centri detentivi di Sulmona e Rebibbia sono state scritte dagli stessi carcerati, coordinati per l’occasione da Antonio Turco, direttore artistico della Compagnia Teatro Stabile Assai.

Con la sua opera Fabio Venditti non intende di certo rendere omaggio a un personaggio fortemente negativo, ma dimostrare come, nonostante questa particolare avventura gli abbia lasciato invisibili e al tempo stesso indelebili cicatrici, anche un’ambigua - e forse corrotta - amicizia, possa portare a sorprendenti risultati.