Snowden
Nel 2015, il Citizefour della regista Laura Poitras (My Country My Country, The Oath) vinceva il premio Oscar come miglior documentario, ripercorrendo le fasi salienti dello scandalo del Datagate e raccontando la storia di Edward Snowden, ventinovenne e geniale informatico della Cia e della NSA salito alla ribalta delle cronache per aver divulgato al mondo intero le informazioni segrete ottenute durante i suoi anni di lavoro, e relative alle attività illegali di sorveglianza poste in essere dal governo americano e a discapito dei cittadini del globo intero. Attività a dir poco illegittime secondo cui la ‘scusa’ della sicurezza e del pericolo del terrorismo non sarebbero altro che meri pretesti per promuovere invece delle attività anticostituzionali di controllo e spionaggio della popolazione tutta - il definitivo avvento del Grande Fratello orwelliano.
In questo senso, il documentario della Poitras era frutto diretto delle cronache di quei giorni, della full immersion dell’intervista fatta a Snowden in una camera d’albergo di Hong Kong (il Mira Hotel) prima dell’esplosivo lancio a mezzo stampa di quelle informazioni, e di riprese fatte e ri-assemblate dalla filmaker in prima persona. Un lavoro complesso e certosino che ha dato vita a un prodotto incredibilmente capace di seguire e spiegare gli sviluppi di questa storia, facendo luce sugli inquietanti scenari e sugli incredibili paradossi che la animano, per lo più conflitti di interessi legati ad attività illecite perpetrate dai governi ai danni dei loro stessi cittadini.
A circa un anno di distanza da quel titolo, l’acclamato regista Oliver Stone ritorna sullo stesso tema, raccontando Snowden attraverso un film biografico che ha dalla sua un cast di indubbio richiamo: Joseph Gordon-Levitt, Shailene Woodley, Scott Eastwood, Nicolas Cage, Timothy Olyphant. Il risultato è un’opera di fattura più che buona, interessante quanto basta, credibile nei limiti della drammaturgia di finzione, e funzionale soprattutto nell’approfondimento psicologico del protagonista Edward Snowden, incarnato da un ottimo, a tratti addirittura sorprendente Joseph Gordon-Levitt. Perché se da un lato l’opera di Stone sceglie di seguire soprattutto l’evoluzione del punto di vista di Snowden nella sua crescente presa di coscienza e inquadrarlo nelle sue dinamiche personali (il rapporto con la compagna, le relazioni lavorative, i problemi di salute) più che inseguire la cronologia dello scandalo sociale e mediatico vero e proprio (ciò che faceva invece Citizefour), d’altro canto l’approfondimento psicologico che il film e (nello specifico) Gordon-Levitt riescono a restituire dell’intera vicenda è senz’altro onesto e accattivante.
Le semplificazioni narrative che in qualche modo adombrano l’urgenza dei contenuti, non inficiano in fin dei conti nell’economia globale di un film che si muove bene tra verità e finzione, mettendo in campo il giusto mix di qualità tecnico-artistiche e contenuti. A margine, resta il fatto che il valore documentaristico della vicenda, dei personaggi e dei fortissimi interessi argomentati e tirati in ballo, trova il suo miglior mezzo espressivo proprio nel documentario. Motivo per cui il lavoro della Poitras resta a oggi senza ombra di dubbio la voce migliore, il miglior punto di vista e riferimento per comprendere al meglio cronologie e meccanismi di uno scandalo che ci riguarda tutti da vicino. Una scottante questione che riguarda le nostre vite, la nostra privacy e soprattutto il valore della nostra libertà.