Sin senas particulares – Il miraggio dell’oltre-confine
Ragazzi neanche maggiorenni che partono con uno zaino sulle spalle pieno di speranze proiettate al di là del confine del Messico. Ma sono spesso viaggi che finiscono, macabramente, con il riconoscimento di un corpo “imbustato” o pochi effetti personali, e una veglia funebre. Oppure, ancora peggio, finiscono nel vuoto.
Una speranza mancata che si traduce in una speranza persa, quella di una madre che desidera solo rivedere vivo il proprio figlio. “Forse il tuo è vivo”… Così inizia il viaggio di Magdalena alla ricerca di suo figlio, partito mesi prima dal Messico su di un autobus diretto negli Stati Uniti, e mai più riapparso. E mentre le autorità spingono perché Magdalena, come tante altre madri come lei, firmi il certificato di morte associato a un anonimo corpo senza alcun particolare tratto distintivo (sin senas particulares), la donna si decide a partire per inseguire le orme del figlio perduto e provare a comprendere dove e come possa essersi interrotto il suo cammino. Lungo la strada, Magdalena s’imbatterà in Miguel, coetaneo di suo figlio da poco rimpatriato dagli Stati Uniti, e alla ricerca (vana) di ricongiungersi con la famiglia. Si andrà così sviluppando un percorso reale e onirico fatto di morte e violenza che racconta attraverso lo sguardo intimo di Magdalena l’incubo diffuso di un Messico infernale abitato da molti demoni e da un pallido miraggio di Vita.
Rarefatto come quel senso di speranza flebile ma persistente che accompagna la protagonista nel suo calvario umano ed esistenziale di madre, Sin senas particulares è la fotografia drammatica di vite spezzate da un sogno, di un mondo attraversato da confini invalicabili, dove se nasci nel posto sbagliato, nel posto sbagliato finisci anche per morire, e in molti casi anonimamente, precipitato nell’oblio di una lugubre fossa comune. Un’infinità di corpi ritrovati e spesso associati solo per “convenienza” a una madre in cerca del figlio, sono la desolante rappresentazione di una vita attraversata dalla morte, dove (forse) l’unica speranza di sopravvivere è data proprio dall’adesione totale alla violenza brutale di quel mondo.
La giovane regista messicana Fernanda Valadez (classe 1981) prende a prestito una storia comune a molte madri messicane (qui tutte rappresentate dalla carismatica Magdalena della bravissima Mercedes Hernández) per parlare di vite fagocitate da un miraggio di speranza, da un inferno umano cha a cavallo del confine messicano esercita e diffonde tutta la sua brutalità. Corpi, morte, e madri tormentate dal dolore si fondono poetici in quest’opera prima, a tratti estremamente documentaristica a tratti profondamente sospesa, che mischia la realtà a un onirismo narrativo capace di dare forma e colore al tormento umano che coinvolge tutti i protagonisti del film. Una regia che si pone anche l’obiettivo di mettere a confronto la brutalità umana (proiezioni sataniche) con la serenità delle cose della natura (le formiche, le foglie, gli alberi che ondeggiano placidi), mettendo a fuoco uno stesso mondo dal terribile doppio volto, dove anche la ricerca di un figlio può portare al reale incubo di esiti orribili e mai nemmeno contemplati.