Sicilian ghost story, i fantasmi della mafia di Grassadonia e Piazza
In Russia dicono che ogni volta che c’è un momento di silenzio nasce uno sbirro, da noi un mafioso.
Si comincia con la giovanissima Luna alias Jedlikowska che, all’uscita da scuola, pedina di nascosto il suo compagno di classe Giuseppe, ovvero Gaetano Fernandez, di cui è innamorata e per il quale ha scritto una lettera d’amore. Ma, sebbene il titolo dell’operazione e l’iniziale situazione che vede i due protagonisti ritrovarsi tra i boschi montani possano suggerire qualcosa di fantastico e vicino ai racconti del terrore, Sicilian ghost story non intende affatto apparire in qualità di prodotto di genere di carattere horror, in quanto ancorato ad una delle decisamente più spaventose e concrete realtà italiane.
Del resto, appassionato di equitazione e che finisce improvvisamente per scomparire nel nulla, il Giuseppe che troviamo al centro delle circa due ore di visione altro non vuole essere che la incarnazione su grande schermo del dodicenne Giuseppe Di Matteo, rapito nel 1993 perché figlio del “pentito” di mafia Santino Di Matteo e strangolato e dissolto nell’acido oltre due anni più tardi per mano del pluriomicida Giovanni Brusca, autore della strage in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone e la propria scorta.
Una tipologia di film non nuova per i due registi Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, artefici nel 2013 di Salvo e che dichiarano: “Siamo entrambi palermitani e questa storia perseguita la nostra coscienza. Giuseppe è un fantasma che rinnova il dolore per l’abominio di cui è stato vittima e la rabbia contro quel mondo all’interno del quale l’abominio si è realizzato. Un fantasma imprigionato dentro una storia senza possibile redenzione. Un fantasma intrappolato nel buio delle nostre coscienze. Un fantasma da liberare. La possibilità si è schiusa grazie alla lettura del racconto Un cavaliere bianco di Marco Mancassola. Nel racconto, Giuseppe Di Matteo morendo si trasforma, nella fantasia di una compagna di scuola, in un cavaliere immaginario, una presenza soprannaturale che la protegge. L’intuizione di una collisione fra un piano di realtà e un piano fantastico del racconto ci ha fatto riconoscere gli elementi che da tempo avevamo davanti agli occhi: un fantasma e la colpa di un mondo che sopprime bambini. Elementi per una ghost story. Una ghost story siciliana e, in quanto tale, sul piano di realtà, favola nera. Una ghost story siciliana e, in quanto tale, sul piano fantastico, favola d’amore”.
Infatti, con la immaginaria protagonista che, senza rassegnarsi, spera e continua a cercare colui che le fa battere il cuore, da un lato seguiamo la realistica costruzione del fatto di cronaca, dall’altro l’ostinata e, a suo modo, fantasiosa relazione tra i due, dischiudendo la possibilità del miracolo d’amore che trascende la morte e salva la loro umanità. Perché, tra silenzio da parte dei familiari di lui e indifferenza manifestata dal mondo circostante, è chiaramente l’innocenza del romantico sentimento adolescenziale distrutta dalla brutalità del più bestialmente violento universo adulto a fare da perno al tutto; man mano che il povero sequestrato resiste all’avanzare della devastazione fisica e morale e che l’atmosfera generale tende a rivelarsi non poco onirica.
Con tanto di probabile omaggio subacqueo al super classico L’Atalante di Jean Vigo; mentre, trasudante contrasti, la fotografia a cura dell’infallibile Luca Bigazzi valorizza i cupi toni di un insieme le cui pecche, al di là delle non esaltanti prove sfoggiate dai giovani elementi del cast (decisamente più convincenti i “grandi”, tra i quali Vincenzo Amato e Sabine Timoteo), vanno attribuite in maniera esclusiva ad una eccessiva lunghezza, ulteriormente penalizzata dal lento ritmo di narrazione.