Si vis pacem para bellum
“L’unico uomo inoffensivo è quello morto” è la didascalia che introduce il tredicesimo lungometraggio a firma del romano Stefano Calvagna, il quale vi veste anche i panni del protagonista: un solitario buttafuori da discoteca che, in realtà, lavora parallelamente come killer al servizio di un sinistro individuo incarnato da Massimo Bonetti, già a disposizione del regista in Senza paura (2000) e Il lupo (2007).
Infatti, è immediatamente impegnato a lasciare un cadavere a terra che lo troviamo in apertura della circa ora e mezza di visione destinata a farlo innamorare sinceramente della giovane Lee Ang, lavorante come cameriera nel ristorante di famiglia e il cui padre pretende che non frequenti ragazzi italiani.
La Lee Ang cui concede anima e corpo una fragile ed indifesa Francesca Fiume lontana dagli ironici ruoli che l’hanno vista memorabile orientale dalla parlata romanesca nei verdoniani Sotto una buona stella (2014) e L’abbiamo fatta grossa (2016) e di cui lo spettatore non può fare a meno di innamorarsi; man mano che emergono anche loschi giri in cui è coinvolto il severo genitore e che è in Cina per vivere insieme una nuova esistenza che intende portarla lo spasimante dal grilletto facile.
Spasimante inoltre dedito a una ormai anziana e malandata madre – in maniera curiosamente simile al contemporaneo Samurai/Claudio Amendola di Suburra (2015) – interpretata dalla veterana Lucia Batassa e propenso a trascorrere molto del proprio tempo in palestra, in compagnia di un amico dalle fattezze di Emanuele Cerman, autore di In nomine Satan (2012).
Nome che, insieme alla Giulia Anchisi vista in Anni felici (2013) e qui oltretutto al centro di una caldissima sequenza ai limiti dell’hard, arricchisce ulteriormente il cast bene o male in parte di un noir d’ambientazione sì capitolina, ma influenzato in maniera neanche troppo velata da modelli provenienti dalla cinematografia internazionale.
Perché, se da un lato può tornare vagamente alla memoria l’idea di base che fu al centro di The killer (1898) di John Woo, dall’altro risulta impossibile non pensare al suo non dichiarato rifacimento d’oltralpe Léon (1994), diretto dallo Spielberg francese Luc Besson.
E, in mezzo a pallottole pronte per essere sparate, sesso e una forte spruzzata di sentimentalismo, lo spettatore viene intrattenuto in maniera piuttosto efficace.