Serenity: in alto mare
Perché, dopo aver passato una vita a sgomitare per avere un posto nel pantheon dei veri attori, quelli con l’A maiuscola per intenderci, Matthew McConaughey rischia intenzionalmente di passare dal trono alla ghigliottina, partecipando al terzo progetto registico di Steven Knight?
No, intendiamoci bene, quella su cui stiamo gettando fango difficile da scivolare via non è l’interpretazione del divo texano: qui, parliamo della sceneggiatura realizzata da un autore che negli anni ha dato vita a script eccezionali come Piccoli affari sporchi di Stephen Frears o La promessa dell’assassino di David Cronenberg. Ma, questa volta ha toppato alla grande cercando di far digerire al pubblico la possibilità dell’impossibile.
Serenity è stato un flop nella madrepatria, tanto che giunge in Italia con mesi di ritardo sulla tabella di marcia. Il film viaggia sulla cresta dell’onda del vintage, citando atmosfere cinematografiche dei grandi classici noir anni ’40-’50, dove c’è sempre un antieroe che volentieri/malvolentieri rimane invischiato nella ragnatela di qualche femme fatale finto bionda. Anche il contrasto fra la povertà sbandierata ai quattro venti del protagonista e la ricchezza magniloquente del rivale in amore non fa che aumentare l’impressione di un mondo violento, mantenendo il passo con un modello di racconto di stampo tradizionale. Vogliamo inserire qualche altro stereotipo? Certo, un’ambientazione esotica quantunque claustrofobica, come solo un’isola sperduta in mezzo all’Oceano può essere.
La distanza materica e psicologica tra l’azione narrata e il nostro vituperato mondo tecnologico sembrerebbe, quindi, alquanto indiscutibile. Potremmo pertanto rilassarci e consumare in uno sfogliare d’immagini da cartolina questo patinato thriller di metà estate, in tutta calma e tranquillità. Le grandi pellicole, fatta qualche eccezione, torneranno ad affollare le sale solo in autunno. A sorpresa ecco arrivare la virata di fantasia degna di un marinaio dei sette mari, e ricentrare la rotta diventa un’operazione assolutamente impossibile. Ovviamente, per non svelare il colpo di scena, non entreremo nel dettaglio, disquisendo dello spiazzamento finale.
Diciamo però che Serenity rinuncia a qualsiasi credibilità e come ara sepolcrale su cui disfarsi sceglie filosofiche visioni virtuali come portata principale, con implacabili esortazioni moraleggianti per contorno. Il trailer viaggiava su tutta altra, lontanissima orbita.