Senza lasciare traccia

Sofferto e inquietante: il film di esordio di Gianclaudio Cappai è saturo di angoscia, dal primo all'ultimo fotogramma. E' un racconto cupo e torbido che si svolge su due piani narrativi, mettendo in scena tante piccole tessere di un unico puzzle che a poco a poco prende forma, svelando cosa si cela dietro la sofferenza interiore del protagonista.

Michele Riondino dà il volto ad un giovane professore di liceo da poco operato all'addome per un tumore. La sua malattia lo colpisce brutalmente con fitte di dolore improvvise ma è il passato quello che fa davvero male. Quello che Bruno non è mai riuscito a superare e che ci viene riproposto sotto forma di flashback carichi di ansia, in cui il rombo di una fornace ed il suo calore, che sembra sprigionarsi fino nella sala, si fanno sempre più minacciosi.

Bruno è sposato con Elena – Valentina Cervi -, una restauratrice: si recano al nord d'Italia per il lavorare su un dipinto ritrovato in una chiesa. E' l'occasione per staccare. Ma solo apparentemente. Perché il luogo è proprio lo stesso in cui Bruno aveva vissuto da bambino e in cui qualcosa di terribile ha sconvolto per sempre la sua esistenza.

A tu per tu con la morte, Bruno decide di affrontare i suoi fantasmi, decide che la rabbia che porta dentro da anni deve finalmente uscire e dirigersi contro chi lo ha ridotto così, incapace di prendere sonno senza che faccia capolino la luce accecante di quella fornace, teatro di un evento atroce che lo tormenta da anni senza dargli la pace interiore che cerca disperatamente.

I movimenti nervosi della macchina da presa sposano perfettamente l'angoscia del tessuto narrativo ed il continuo ricorso al chiaro scuro acuisce l'inquietudine di certe sequenze.

Come l'assassino che torna sul luogo del delitto, Bruno torna dove quando era bambino subì qualcosa di atroce, qualcosa di cui porta ancora segni sul corpo e soprattutto nell'anima.

L'idea, nata da un evento reale – un'amica del regista malata di cancro gli raccontò che percepiva la malattia come un fatto traumatico avvenuto tempo prima che però non volle rivelare – sembra riguardare ognuno di noi, ogni nostro piccolo segreto o trauma che ci ha profondamente segnati ma che non siamo capaci di esternare, di cui non riusciamo a mettere al corrente chi ci circonda. “Ho trattenuto troppa rabbia per troppo tempo” dice Riondino ad un certo punto del film, quando trovare il capro espiatorio sembra l'unica ancora di salvezza.

Presentato in anteprima al Bari International Film Festival ed atteso nelle sale il 14 Aprile 2016, Senza lasciare traccia è opprimente, è un'opera prima che reca qualche maldestro movimento di macchina e che in alcuni momenti sembra contorcersi su se stessa, proprio come il protagonista quando è assalito dai suoi dolori e dai suoi ricordi. Ma è un piccolo film che fa leva sulle ottime interpretazioni di Michele Riondino, meglio noto come Il giovane Montalbano, di Elena Radonicich, Vitaliano Trevisan e Valentina Cervi e su un soggetto alquanto interessante che avrebbe potuto essere sfruttato meglio, senza lasciare traccia, appunto, di imperfezioni.