S is for Stanley

Per il mondo intero era Kubrick, per Emilio D’Alessandro era semplicemente Stanley. Spesso e volentieri solo una iniziale lasciata a mo’ di firma al termine di un messaggio scritto. S is for Stanley, per l’appunto.
Alex Infascelli entra in punta di piedi nella storia d’amicizia tra uno degli indiscussi maestri del cinema moderno e il suo collaboratore più stretto, l’uomo che meglio sapeva rispondere alle esigenze del regista americano. Che si trattasse di trasportare del materiale di scena ultra delicato da un set all’altro o di svolgere una qualsiasi altra mansione, come fare la spesa al mercato, poco cambiava perché in entrambi i casi l’assistente personale svolgeva il suo lavoro in maniera scrupolosa ed efficiente.

Trenta anni di vita in cui i due vissero come compagni di viaggio: uno dirigeva i lavori, mentre l’altro doveva solo ottemperare a quanto gli era stato richiesto. Così il braccio eseguiva ciò che la mente ordinava, anche se il quadro d’insieme gli sfuggiva del tutto o quasi. Poco importava che intanto i figli crescessero ed Emilio non fosse in prima fila ad applaudirli alle recite scolastiche di fine anno o che il telefono di casa suonasse e all’altro capo della cornetta ci fosse sempre il regista perfezionista. Eppure, c’era molto di più del semplice adempiere al proprio dovere, in quanto esisteva tra le due famiglie un legame di affetto che nessuna somma di denaro potrai mai comprare. Le location cambiavano, i decenni trascorrevano, ma Emilio era sempre presente per Stanley e viceversa.

Per S is for Stanley l’autore di Almost Blue trae ispirazione dal volume Stanley Kubrick e me scritto dallo stesso D’Alessandro assieme a Filippo Ulivieri, edito nel 2012 dalla casa editrice Il Saggiatore. Coadiuvato alla sceneggiatura da Ulivieri e da Vincenzo Scuccimarra, Infascelli rende tributo all’uomo nascosto dietro l’inclinazione da artista e la fama di genio. Il tutto senza il minimo voyeurismo e la morbosa curiosità di mettere a nudo un personaggio pubblico per mostrare come funziona la macchina della celebrità. Perché non è importante se esista o meno uno iato tra l’essere e l’apparire, ma chi davvero fosse in privato Kubrick.

L’opera di Infascelli colpisce contemporaneamente due organi: il cervello e il cuore degli spettatori presenti in sala. Ogni barriera esistente tra noi e il filmaker si volatilizza come d’incanto non appena il settantenne D’Alessandro inizia a parlarci di lui con fare schietto e sincero, esattamente come ognuno di noi presenterebbe un amico fidato. Esistono documentari di tutti i tipi e di tutte le forme e sicuramente un documentario canonico avrebbe offerto alla nostra vista mai sazia il sapore consueto di alcune delle migliori sequenze realizzate da Kubrick. S is for Stanley non lo fa e preferisce far indugiare la macchina da presa su quel piccolo santuario di memorabilia di scena che l’ex aiutante custodisce religiosamente nel garage della propria abitazione di Cassino. Ecco in un angolo emergere la spilla promozionale di Barry Lyndon, mentre nel cantuccio più in ombra della stanza vi sono i portachiavi dell’Overlook Hotel e, se fate attenzione, vedrete le fettucce dei marines personalizzate con il nome di Kubrick e D’Alessandro, poste l’una accanto all’altra. Proprio come una coppia di vecchi commilitoni che ne hanno divise tante insieme.