Ritorno in Borgogna, il bicchiere mezzo vuoto di Klapisch

Che in Francia il vino sia osannato come fosse una divinità non è un fatto inedito, come non è una novità trovarlo nel ruolo principale di numerosi film d’oltralpe. Sarà forse per questo motivo che il regista Cédric Klapisch (L’appartamento spagnolo), dopo Paris e Rompicapo a New York abbandona le grandi metropoli per realizzare un film ambientato nel mondo rurale, e più precisamente nel magico scenario della Borgogna.

Protagonisti dell’opera del cineasta francese sono tre fratelli, proprietari di un grande vigneto. A causa della grave malattia del padre, il primogenito Jean (Pio Marmaï) sarà costretto a tornare a casa dopo dieci anni di assenza per aiutare Juliette (Ana Girardot) e Jéremié (François Civil) nella gestione della tenuta di famiglia. Ricostruire il legame tra loro non sarà cosa facile, soprattutto a seguito della morte del padre e delle conseguenti diatribe che nasceranno per l’eredità...

In Ritorno in Borgogna gli splendidi filari di viti e i panorami mozzafiato dovrebbero fare da sfondo a una storia che racconta sia il complesso tema dei rapporti familiari che l’importanza delle proprie radici e del contatto con la natura, ma ciò che avviene nell’opera di Klapisch è purtroppo esattamente il contrario: film visivamente potente, ma narrativamente piatto. Sì, perché nonostante i personaggi siano ben tratteggiati – il ribelle Jean, fin dall’adolescenza in conflitto con il genitore; l’insicura Juliette, prediletta dal capofamiglia; il giovane Jérémie, succube del proprio suocero –, è un vero peccato vedere come le dinamiche che porteranno alla loro maturazione e riavvicinamento vengano presentate dal filmmaker in modo decisamente superficiale e sbrigativo.

Il calice offerto agli spettatori risulta dunque mezzo vuoto, poco corposo e colmo di stereotipi: “Ma l’amore" - dice Jean - “è come il vino, serve tempo. Deve fermentare.” E ancora “Solo lavorando la terra ti rendi conto di appartenerle”. Ecco, forse ci saremmo aspettati meno frasi fatte e più coraggio da parte dell’autore - qui cosceneggiatore insieme al compagno di liceo Santiago Amigorena - nell’affrontare un argomento così delicato quale quello trattato. Di contro, bisogna però riconoscere a Klapisch di aver saputo mettere brillantemente in scena il difficile ‘passaggio generazionale’ che vede l’innovazione vinicola – la scelta ‘biodinamica’ dei tre giovani viticoltori che si scontra con quella tradizionale – come unica via del futuro.

Vero pregio della pellicola, oltre a quello della fotografia, è senza dubbio la perfetta costruzione delle scene corali, dove il ritmo riprende vita creando nel pubblico la sensazione di assaporare realmente un bicchiere di eccellente ‘vin de Bourgogne’…